App. Venezia 29.05.2014 (sulla definizione di atti di straordinaria amministrazione e sugli effetti del loro compimento)

Questa settimana pubblichiamo la sentenza resa dalla Corte di Appello di Venezia in data 08.05.2014 e depositata il 29.05.2014.

Con il provvedimento in questione la Corte ha revocato la sentenza n. 25/14 con la quale il Tribunale di Padova si era pronunciato ex artt. 161, comma 6, 162, comma 2, e 173 L.F. sulla domanda di concordato preventivo presentata da una società a responsabilità limitata e, in presenza di istanze creditorie, ne aveva dichiarato il contestuale fallimento.

Al di là delle questioni di merito, per altro riassunte in modo molto chiaro, la sentenza appare interessante per l’attenta analisi di quelli che possono essere definiti “atti di straordinaria amministrazione” ai fini concordatari e degli effetti che derivano dal loro compimento.

Osserva innanzitutto la Corte che “il tribunale, una volta informato dell’esistenza di un atto di straordinaria amministrazione non autorizzato e compiuto, può disporre una convocazione del debitore ed adottare un decreto di arresto del procedimento di pre-concordato, similmente a ciò che è previsto dall’art.173 l. fall. per il caso di revoca del decreto di ammissione al concordato.

Come il compimento di un atto di straordinaria amministrazione privo di autorizzazione ex art. 167 l. fall. conduce alla revoca del concordato, così il compimento di un atto di straordinaria amministrazione privo di autorizzazione ex art. 161, sesto comma, l.fall. conduce alla dichiarazione di improcedibilità del pre-concordato”.

Il parallelismo tra gli articoli 161 e 167 L.F. continua quando la Corte si addentra nella definizione di “atto di straordinaria amministrazione”.

Si evidenzia infatti che “l’art. 167 l. fall. reca una elencazione di atti che debbono necessariamente essere autorizzati e prevede la necessari età dell’autorizzazione in genere anche per gli atti di straordinaria amministrazione.

L’individuazione degli atti di straordinaria amministrazione, perciò, va effettuata tenendo conto che essi debbono, in genere, essere idonei a produrre effetti simili a quelli che producono gli atti espressamente elencati”.

In poche parole, è “atto di straordinaria amministrazione” quello potenzialmente in grado di incidere negativamente sugli interessi della massa creditoria.

Ne deriva che, al fine della necessità della previa autorizzazione scritta dal giudice per gli atti da compiersi dal debitore durante la procedura di concordato preventivo, la concreta riconducibilità dell’atto in discussione alla categoria generale, residuale, degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, di cui all’ultima parte dell’art. 167 l. fall. è orientata dalla ricorrenza o meno in quell’atto di medesimi connotati che caratterizzano le figure negoziali(“mutui, transazioni, compromessi, fideiussioni, rinunzie …”) che lo stesso art. 167 (a titolo non esaustivo ma esemplificativo) tipizza gli effetti, appunto, della necessaria previa autorizzazione. Il che equivale a dire che l’eccedenza in concreto dalla ordinaria amministrazione viene a dipendere dalla oggettiva idoneità dell’atto ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone comunque la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, alla cui tutela la misura della preventiva autorizzazione è predisposta. Ricadono, dunque, nell’area della amministrazione straordinaria gli atti suscettibili di ridurre il patrimonio del debitore o che lo gravino di pesi o vincoli cui non corrispondono acquisizioni di utilità reali su di essi prevalenti (cfr. Cass. n. 20291/2005; 15484/2004; 45/1979; 599/1982, 1357/1999)”.

La Corte di Appello affronta, infine, la questione relativa ai rapporti tra la domanda prenotativa ex art. 161, comma 6, L.F.  e la successiva istanza  “completa” presentata nel momento in cui la società debitrice viene convocata in camera di consiglio nel procedimento di revoca.

Per la Corte di Appello “non può essere attribuita alla domanda di concordato pieno presentata in data 15 gennaio 2014 l’efficacia di rinuncia implicita alla prima domanda di concordato in bianco”.

Invero alla nuova domanda di concordato proposta dopo che il giudice ha riservato al causa in decisione non si può infierire la volontà implicita della parte di abbandonare la domanda di concordato in bianco poiché il comportamento processuale tenuto è univoco nel senso della volizione opposta di coltivare la domanda di concordato depositata il 31.5.2013”.

Nell’ordinamento, infine, non si rinviene “una norma che faccia discendere dalla proposizione di una nuova domanda di concordato la rinunzia di quella proposta anteriormente, ancorché si tratti di proposte diverse nel contenuto”.

La naturale “tentazione” di rimediare ai vizi di una domanda di concordato (soprattutto se emergono in pendenza di istanze di fallimento) attraverso la presentazione di un nuovo ricorso appare quindi destinata a non trovare soddisfazione.

Cordiali saluti.

 

Simone Giugni

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R.G. N. 352/2014

        REPUBBLICA ITALIANA

          IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

           LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA

          Sezione I° Civile

 

Composta dai sigg.:

Dr. Vittorio Rossi                                                  Presidente

D.ssa Liana Maria Teresa Zoso                          Consigliere rel.

D.ssa  Daniela Bruni                                             Consigliere

 

SENTENZA

 

Nella causa promossa in appello con ricorso depositato il 26.4.2014

da

F. s.r.l. (C.F. xxxxxxxxxxx)

Col procuratore e domiciliatario in Venezia Avv. ____________

E col patrocinio dell’Avv. ________________

per mandato a margine del ricorso

 

appellante

contro

Fallimento F. s.r.l.

Col procuratore e domiciliatario in Venezia Avv. ____________

E col patrocinio dell’Avv. _______________

Per mandato a margine della comparsa e costituzione di risposta

appellato

 

Oggetto: Revoca della sentenza n. 25/14 pronunciata il 17.1.2014 dal Tribunale di Padova dichiarativa del fallimento di F. s.r.l.

Causa trattata all’udienza dell’8.5.2014.

 

Esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto della decisione

 

In data 24 aprile 2013 M.D. chiedeva fosse dichiarato il fallimento di F. s.r.l. in quanto vantava il credito di circa euro 60.000,00 derivante da rapporto di lavoro dipendente.

In data 31 maggio 2013 F. s.r.l. depositava domanda di concordato preventivo con riserva ai sensi dell’articolo 161, comma sesto, legge fallimentare.

Con provvedimento del 7 giugno 2013 tribunale ammetteva la società alla procedura assegnando il termine di 60 giorni per la presentazione del piano e della proposta concordataria, termine poi prorogato di 60 giorni.

In data 20 novembre 2013 F. s.r.l. depositava il piano e la proposta concordataria ex articolo 161, comma secondo, legge fallimentare.

In data 28 novembre 2013 il tribunale fissava l’udienza ex articolo 161, comma sesto, 162, comma secondo, e 173 legge fallimentare in vista dell’eventuale revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo ed anche per la trattazione dell’istanza di fallimento proposta da D.M. Il tribunale, nel decreto di fissazione dell’udienza, rilevava che in data 23 luglio 2013 era stato stipulato con la partecipazione della debitrice concordataria un atto di rinegoziazione di mutuo fondiario, riduzione di ipoteca e frazionamento di muto tra la Banca e la società P. S.p.a., quale società di gestione del fondo P.; tale fondo si era accollato nel 2009, con il consenso della società di gestione, il debito derivante dal mutuo ipotecario originariamente stipulato da E. S.p.a., società poi incorporata in F. s.r.l..

Con l’atto di rinegoziazione del mutuo, le parti si erano accordate per una rimodulazione delle rate di ammortamento del mutuo e per l’inserimento di 12 rate di preammortamento e F. s.r.l., nel sottoscrivere detto atto, aveva compiuto un atto eccedente l’ordinaria amministrazione senza richiedere la necessaria autorizzazione al tribunale sicché ciò aveva concretato una ragione di inammissibilità della domanda di concordato ex articolo 162, comma secondo, legge fallimentare.

Tenutasi l’udienza del 10 gennaio 2014, il tribunale si riservava di decidere sull’istanza di fallimento e in data 15 gennaio 2014, prima che il collegio tenesse la camera di consiglio per decidere sull’istanza di fallimento, F. s.r.l. depositava nuova domanda completa di concordato preventivo ai sensi dell’articolo 161, comma secondo, legge fallimentare, corredata della relazione dell’attestatore.

Con sentenza pronunciata il 17 gennaio 2014 il tribunale dichiarava il fallimento di F. s.r.l. ed emetteva in pari data il decreto di non luogo a provvedere sulla domanda di concordato preventivo depositata in data 15 gennaio 2014.

Osservava il tribunale che tra il concordato preventivo e fallimento non sussisteva alcun rapporto di pregiudizialità con sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c. e che sussisteva una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti sicché il giudice era tenuto a verificare il rapporto di priorità tra le due procedure dando precedenza all’una o all’altra e verificando in ogni caso che la proposta pattizia non avesse un intento meramente dilatorio e perciò abusivo. Peraltro nel caso di specie, una volta attivato il sub procedimento ex articoli 162 e 173 legge fallimentare, esso doveva trovare conclusione con l’emanazione dei provvedimenti previsti dalle norme stesse. Quanto all’insolvenza, il credito del ricorrente non era contestato e lo stato di indebitamento della società F. s.r.l. era da far ritenere che la stessa non fosse in grado di assolvere le proprie obbligazioni con regolarità. Ciò emergeva senza ombra di dubbio anche dalla proposta concordataria presenta tata il 15 gennaio 2014, ove era prevista la soddisfazione parziale dei creditori chirografari nella limitata percentuale tra il 6,6 ed il 6,1% nell’arco temporale di 5 anni dalla data dell’omologa del concordato, tempo ritenuto necessario per la vendita del patrimonio immobiliare della società, per il recupero dei crediti e per lo smobilizzo delle quote del fondo. Infine dall’ultimo bilancio depositato dalla società convenuta chiuso al 31 dicembre 2011 risultava un evidente squilibrio finanziario, evidenziandosi anche nella situazione contabile al 31 dicembre 2013 riportata nel ricorso per concordato preventivo del 15 gennaio 2014.

La società F. s.r.l. proponeva reclamo ex articolo 18 della legge fallimentare impugnando sia la sentenza di fallimento depositata il 28 gennaio 2014 ed il conseguente decreto dichiarativo del non luogo a provvedere sulla domanda di concordato preventivo depositata il 15 gennaio 2014, sia il decreto del 27 dicembre 2013 con cui era stata dichiarata l’inammissibilità della prima domanda di concordato in bianco.

La reclamante svolgeva i seguenti motivi di doglianza:

1. Il tribunale erroneamente aveva dichiarato, con provvedimento del 27 dicembre 2013, l’inammissibilità del concordato proposto ai sensi dell’articolo 161, comma sesto, legge fallimentare sul presupposto che la debitrice concordataria avesse posto in essere un atto di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del tribunale. Invero, con la sottoscrizione dell’atto di rinegoziazione del mutuo stipulato tra il fondo P. e la Banca in data 23 luglio 2013, non era stato concluso alcun atto eccedente l’ordinaria amministrazione che richiedesse l’autorizzazione del tribunale poiché la posizione di F. s.r.l. era degradata a quella di un soggetto terzo garante dato che il mutuo fondiario era stato originariamente contratto da E. s.p.a., poi incorporata in F. s.r.l. ed il mutuo era stato poi accollato al fondo P. al quale era stato conferito l’immobile ipotecato. La banca mutante e creditrice ipotecaria aveva acconsentito sicchè, a decorrere dalla stipula dell’accollo, la banca si era relazionata solo con il fondo del quale era garante. L’atto di rinegoziazione era stato stipulato tra la mutuante ed il fondo e F. s.r.l. aveva partecipato alla stipula dell’atto solo in quanto avente la posizione di garante mentre la posizione di tale società era rimasta inalterata sia sul piano qualitativo che quantitativo poiché non si era prodotta alcuna esposizione aggiuntiva né alcun aggravamento della garanzia non essendovi stato alcun incremento della posizione debitoria del debitore P. né del garante E. S.p.a. ora F. s.r.l.. Invero non vi era alcuna differenza tra il fatto che il debito di rimborso venisse assolto in più o meno tempo o in più o meno rate o venisse rimodulato per riassorbire gli interessi maturati a seguito della mora maturata su alcune scadenze ed, anzi, la rinegoziazione delle rate scadute aveva allontanato il rischio di un’escussione ai danni di F. s.r.l..

Ciò era viepiù dimostrato dal fatto che nelle domande di concordato depositate il 20 novembre 2013 e 15 gennaio2014 non era stato appostato alcun fondo rischi per la posizione debitoria di F. s.r.l.  verso la Banca a seguito della rinegoziazione del mutuo e si doveva ritenere che la garante avesse ricevuto un influsso positivo dal negozio concluso poiché vi era stato un decremento del valore della granzia da euro 2.800.000 ad euro 1.388.000 e per effetto della rinegoziazione stessa si era costituita la premessa per l’alienazione ad un privato del bene su cui l’ipoteca era stata frazionata. L’atto, dunque, non recava alcun pregiudizio alla massa creditoria e non avrebbe meritato la sanzione prevista dall’articolo 173, comma terzo, della legge fallimentare neppure nel caso lo si fosse considerato come atto di straordinaria amministrazione. La sanzione dell’inammissibilità del concordato in bianco, poi, non poteva derivare senz’altro dal mero compimento di un atto di straordinaria amministrazione in assenza di preventiva autorizzazione ma era richiesto in ogni caso, ai fini della revoca, una condotta intenzionalmente diretta a ledere le ragioni dei creditori, e tale condizione non ricorreva nel caso in esame.

2. Il tribunale, pur avendo F. s.r.l. depositato domanda di concordato pieno in data 15 gennaio 2014, aveva dichiarato il fallimento della scoietà senza motivare circa gli indizi di intento dilatorio in capo alla debitrice concordataria mentre avrebbe dovuto esaminare la domanda di concordato data l’assenza di indizi di utilizzo abusivo delle facoltà processuali da parte di F. s.r.l.. Solo in presenza di un positivo accertamento della non meritevolezza della domanda si sarebbe potuto dichiarare il fallimento.

Si costituiva il fallimento reclamato chiedendo il rigetto del reclamo.

Osserva la corte che il tribunale, una volta informato dell’esistenza di un atto di straordinaria amministrazione non autorizzato e compiuto, può disporre una convocazione del debitore ed adottare un decreto di arresto del procedimento di pre-concordato, similmente a ciò che è previsto dall’art.173 l. fall. per il caso di revoca del decreto di ammissione al concordato.

Come il compimento di un atto di straordinaria amministrazione privo di autorizzazione ex art. 167 l. fall. conduce alla revoca del concordato, così il compimento di un atto di straordinaria amministrazione privo di autorizzazione ex art. 161, sesto comma, l.fall. conduce alla dichiarazione di improcedibilità del pre-concordato.

Si tratta, perciò, di stabilire quali siano gli atti di straordinaria amministrazione che qualora posti in essere nella pendenza del termine pre-concordatario ex art. 161, sesto comma, l.fall., determinano l’inammissibilità del concordato.

L’art. 167 l. fall. reca una elencazione di atti che debbono necessariamente essere autorizzati e prevede la necessari età dell’autorizzazione in genere anche per gli atti di straordinaria amministrazione.

L’individuazione degli atti di straordinaria amministrazione, perciò, va effettuata tenendo conto che essi debbono, in genere, essere idonei a produrre effetti simili a quelli che producono gli atti espressamente elencati.

Si nota, dunque, che l’interesse della massa viene tenuto in conto a mezzo del vaglio preventivo del giudice delegato di tutti quegli atti che, dovendosi qualificare di straordinaria amministrazione, sarebbero potenzialmente in grado di incidere negativamente sugli interessi in questione.

E’ infatti possibile che atti astrattamente qualificabili di ordinaria amministrazione se compiuti nel normale esercizio di una impresa in bonis possono invece assumere un diverso connotato se compiuti nell’ambito di una procedura concordataria laddove gli stessi dovessero investire interessi del ceto creditorio o incidere negativamente sulla procedura concorsuale perché, ad esempio, sottraggono beni alla disponibilità della stessa ovvero ostacolano o ritardano la procedura di liquidazione nel caso di concordato con cessione dei beni. Ne deriva che, al fine della necessità della previa autorizzazione scritta dal giudice per gli atti da compiersi dal debitore durante la procedura di concordato preventivo, la concreta riconducibilità dell’atto in discussione alla categoria generale, residuale, degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, di cui all’ultima parte dell’art. 167 l. fall. è orientata dalla ricorrenza o meno in quell’atto di medesimi connotati che caratterizzano le figure negoziali(“mutui, transazioni, compromessi, fideiussioni, rinunzie …”) che lo stesso art. 167 (a titolo non esaustivo ma esemplificativo) tipizza gli effetti, appunto, della necessaria previa autorizzazione. Il che equivale a dire che l’eccedenza in concreto dalla ordinaria amministrazione viene a dipendere dalla oggettiva idoneità dell’atto ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone comunque la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, alla cui tutela la misura della preventiva autorizzazione è predisposta. Ricadono, dunque, nell’area della amministrazione straordinaria gli atti suscettibili di ridurre il patrimonio del debitore o che lo gravino di pesi o vincoli cui non corrispondono acquisizioni di utilità reali su di essi prevalenti (cfr. Cass. n. 20291/2005; 15484/2004; 45/1979; 599/1982, 1357/1999).

Nel caso che occupa non pare che l’atto di rinegoziazione di mutuo fondiario, riduzione di ipoteca e frazionamento di mutuo stipulato il 23.7.2013 possa essere riconosciuta natura di atto eccedente l’ordinaria amministrazione in quanto:

a. gli effetti della riduzione dell’importo dell’ipoteca e del frazionamento del mutuo sono favorevoli per la massa dei creditori;

b. un effetto sfavorevole potrebbe essere ravvisato qualora si ritenesse che, per effetto della rinegoziazione del mutuo con previsione di 12 rate di preammortamento comprensive soltanto degli interessi maturati sul capitale mutuato, fosse sorto l’obbligo per F. s.r.l., quale debitore accollato in forza di accollo cumulativo, di pagare anche gli interessi maturati dalla data del deposito della domanda di concordato in bianco ( 31.5.2013) alla data della stipula del negozio (23.7.2013) mentre, in mancanza dell’accordo ed in applicazione dell’art. 55 l. fall., il decorso degli interessi per tale periodo sarebbe stato sospeso; sennonché dal testo del contratto del 23.7.2013 non si evince che le parti abbiano inteso ricomprendere nell’importo delle dodici rate anche interessi maturati successivamente al 31.5.2013 ed, anzi, il fatto che la prima rata avesse scadenza il 6 gennaio 2013, dunque in data antecedente la stipula dell’atto di rinegoziazione, lascia intendere che la pattuizione avesse ad oggetto interessi pregressi e comunque già scaduti alla data di presentazione della proposta concordataria.

c. la Banca, con lettera inviata a F. in data 11.12.2013 (doc.13 del fascicolo F. nel giudizio svoltosi innanzi al tribunale), ha affermato che “’operazione di rinegoziazione non ha assunto alcun rilievo rispetto al contratto originario, non ha prodotto effetti novativi dello stesso nè determinato alcun incremento della posizione debitoria del debitore P. né del garante E. S.p.a. ora F. s.r.l.,” per il che la creditrice mai avrebbe potuto avanzare in sede concordataria pretese in relazione a diritti che non fossero già sorti prima del deposito della domanda di concordato;

d. dal riconoscimento espresso da parte della creditrice dell’effetto non novativo dell’atto di rinegoziazione deriva che non poteva ritenersi sussistente un credito prededucibile, inteso quale credito sorto “ in occasione della procedura concorsuale”, giusta la norma di cui all’art.111, secondo comma, l.fall., giacchè la fonte dell’obbligazione era riconducibile al contratto di mutuo del 6.5.2008.

Per tutte tali ragioni si deve ritenere che il tribunale non era tenuto a dichiarare il fallimento come necessaria conseguenza del fatto che F. s.r.l. aveva posto in essere un atto di straordinaria amministrazione non autorizzato in quanto si trattava, per contro, di un atto di ordinaria amministrazione in quanto inidoneo ad incidere negativamente sul patrimonio della debitrice.

Pertanto la sentenza dichiarativa di fallimento ed il decreto del 27 dicembre 2013 con cui è stata dichiarata l’inammissibilità della prima domanda di concordato in bianco debbono essere annullati con rimessione degli atti al tribunale per il prosieguo.

Il secondo motivo di reclamo rimane assorbito.

Per completezza mette conto osservare che non può essere attribuita alla domanda di concordato pieno presentata in data 15 gennaio 2014 l’efficacia di rinuncia implicita alla prima domanda di concordato in bianco.

Invero alla nuova domanda di concordato proposta dopo che il giudice ha riservato al causa in decisione non si può infierire la volontà implicita della parte di abbandonare la domanda di concordato in bianco poiché il comportamento processuale tenuto è univoco nel senso della volizione opposta di coltivare la domanda di concordato depositata il 31.5.2013; basti considerare che fino all’udienza del 10.1.2014 F. s.r.l. si è opposta alla declaratoria di inammissibilità del concordato e con il reclamo per cui è causa ha chiesto in via principale la revoca del fallimento ed in via consequenziale il rinvio al tribunale per l’esame del piano concordatario depositato il 20.11.2013 mentre solo in via subordinata ha chiesto il rinvio al tribunale per l’esame del piano concordatario depositato il 15.1.2014.

La rinuncia implicita non può, quindi e da un lato, dedursi da un comportamento della parte che evidenzia la volontà contraria né, peraltro si rinviene nell’ordinamento una norma che faccia discendere dalla proposizione di una nuova domanda di concordato la rinunzia di quella proposta anteriormente, ancorché si tratti di proposte diverse nel contenuto.

Le spese processuali, in considerazione della complessità delle questioni trattate, si compensano per intero.

P.Q.M.

 

La corte accoglie in reclamo e, per l’effetto, revoca la sentenza dichiarativa di fallimento di F. s.r.l. depositata il 28 gennaio 2014 ed il decreto del 27 dicembre 2013 con cui è stata dichiarata l’inammissibilità della domanda di concordato depositata il 31.5.2013;

rimette agli atti al tribunale di Padova per il prosieguo;

compensa le spese processuali.

Venezia 8.5.2014

 

Il presidente                                                            Il Consigliere est.

 

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2014

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