Cass. 14.09.2016 n. 18091 (sul controllo del Tribunale sulla proposta di concordato preventivo)

questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 18091 resa dall’Ecc.ma Corte di Cassazione in data 14.09.2016

La pronuncia dimostra una volta di più, se ve ne fosse bisogno, che il confine tra fattibilità giuridica ed economica del concordato preventivo, tracciato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 1521/2013, è ad oggi tutt’altro che definito.

Nella fattispecie oggetto del giudizio, infatti, il Tribunale di Salerno aveva dichiarato inammissibile la domanda di concordato traendo le decisive argomentazioni dalla relazione del professionista attestatore, peraltro così critica su numerosi aspetti da porre seri dubbi sulla fattibilità del piano.

Nel ricorso veniva quindi eccepita l’inammissibile valutazione nel merito da parte del Tribunale, che avrebbe quindi esteso oltre misura il controllo sull’attendibilità della relazione dell’attestatore.

La Corte rigetta il ricorso osservando come, seppure il giudizio di convenienza è rimesso ai creditori, questi debbano essere messi in condizione di ricevere tutte le informazioni necessarie ad esprimere un voto consapevole.

Soggetto deputato a fornire questi dati è appunto il professionista attestatore, le cui funzioni sono state già definite dalle Sezioni Unite come “assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice”.

Qualora, quindi, dalla relazione ex art. 161 L.F. emergano lacune del piano che ne pregiudichino l’ammissibilità, il Tribunale può pronunciarsi in merito senza sconfinare dai propri poteri.

Per quanto mi riguarda, pur concordando con il Tribunale di Salerno in merito all’inammissibilità della domanda, osservo come il ruolo del Giudice sulla proposta venga di fatto “plasmato” ogni volta alle circostanze concrete.

Un intervento del legislatore, pertanto, sarebbe perlomeno auspicabile.

Buona lettura.

Simone Giugni

*******

 

 

(omissis)

 

 

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

 

1.- Con il decreto impugnato il Tribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato preventivo presentata dalla s.r.l. A. in liquidazione. In sintesi, il tribunale ha ritenuto insussistenti le condizioni di cui agli artt. 160 e 161 L. fall, in quanto a) dalla stessa attestazione del professionista emergeva che il terzo destinato ad apportare nuova finanza, ossia la s.r.l. A.G. (affittuaria dell’azienda, con impegno di acquisto), non avrebbe potuto far fronte a tale impegno con le risorse della gestione operativa, avendo dovuto far ricorso ad una fideiussione rilasciata, però, da società di assicurazioni di non primaria importanza; b) pur essendo previsto il pagamento del creditore ipotecario con accollo, trattandosi di concordato liquidatorio (come precisato dalla proponente), i creditori privilegiati non sarebbero stati pagati al momento dell’omologa e a fronte della dilazione non era previsto il diritto di voto di tali creditori; c) non vi era adeguata informazione circa la svalutazione imponente di crediti; d) non erano state contabilizzate le passività potenziali conseguenti a contenzioso tributario; e) la proposta prevedeva la cessione del compendio aziendale a soggetto predeterminato senza possibilità di gara; f) il piano prevedeva, per l’ipotesi di mancato accoglimento della transazione fiscale, la falcidia dell’IVA, con violazione di norma imperativa.

Contro il decreto la società debitrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Non ha svolto difese il P.M. intimato.

2.1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 161 e 162 L. fall.

Deduce che il tribunale – apparentemente limitando il suo esame alla legittimità – in realtà ha esaminato nel merito la proposta, estendendendo il controllo all’attendibilità della relazione del professionista.

Il motivo è manifestamente infondato.

La questione posta con il ricorso è stata già chiarita dalle Sezioni unite di questa Corte (23 gennaio 2013 n. 1521) le quali hanno definito il professionista attestatore come professionista indipendente il quale svolge <<funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice>>, evidenziando che all’attestato del professionista medesimo deve <<essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall’interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice>>. Da ciò le Sezioni unite traggono la conseguenza per la quale va escluso che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e, viceversa, che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni, di. un suo ausiliario. E’ certo, peraltro, secondo la S.C. che il controllo del giudice non è di secondo grado, ossia destinato realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell’attestato del professionista, potendo invece estendersi sino alla verifica <<del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio>>.

Secondo la S.C., poi, è indubbio che <<spetti al giudice verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all’ammissibilità quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili>>, mentre, laddove entrino in discussione gli aspetti relativi alla fattibilità economica, di ogni rischio si fanno «esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto>>.

Invero, la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell’esito e della sua convenienza) è rimesso al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati.

Giudizio che presuppone che i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interno e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l’appunto deputati a provvedere dapprima il professionista attestatore, in funzione dell’ammissibilità al concordato (art. 161 l.f.), e quindi il commissario giudiziale prima dell’adunanza per il voto (art. 172 l.f.).

Dalla sintesi del provvedimento impugnato, riportata sub par. 1, appare evidente che nessuno sconfinamento dai propri poteri ha posto in essere il tribunale, il quale ha giudicato dell’inammissibilità della proposta sulla base degli stessi dati forniti dall’attestatore.

2.2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 162, comma 1, L. fall. Deduce che il tribunale non ha tenuto conto dei chiarimenti forniti.

Il motivo è manifestamente infondato, nella parte in cui imputa al tribunale l’omessa valutazione di chiarimenti, posto che il provvedimento impugnato per ogni punto esaminato ha richiamato (quando sono stati offerti) proprio i chiarimenti della ricorrente (anche quando la debitrice “ha ritenuto di nulla spiegare sul punto”, come l’attestatore che ha ribadito la correttezza dell’attestazione: cfr. par. 3 del decreto), mentre è inammissibile nel resto perché veicola censure inammissibili in quanto versate in fatto.

2.3.- Con il terzo motivo deduce che la segnalazione al PM è indebita o inutile e sì risolve in una sollecitazione a chiedere il fallimento.

Si tratta di censura inammissibile, perché la informativa al PM non ha portata decisoria.

3.- Va rilevato che con ordinanza n. 3472/2016 questa sezione ha rimesso alle sezioni unite la questione se, in base alla normativa conseguente al d.lgs. n. 169 del 2007, il decreto di diniego di ammissione al concordato preventivo, senza contestuale o successiva dichiarazione di fallimento, sia o meno ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost.

Tuttavia, poiché in applicazione del principio processuale della ragione più liquida – desumibile dagli artt. 24 e 111 cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale irrisolta, avendo quel principio la funzione di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare (art. 276 cod. proc. civ.), in una prospettiva attenta alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, non resta alla corte che dichiarare inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ.

Deve provvedersi altresì all’accertamento di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2007, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Scrivi una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *