Cass. 6029/2014 (sugli effetti della chiusura del fallimento sull’azione di responsabilità)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’Osservatorio la sentenza n. 6029 resa dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione in data 15 gennaio 2014 e depositata il 14 marzo 2014 (Giudice Relatore Dott.ssa Rosa Maria Di Virgilio).

Con il provvedimento in esame, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso promosso avverso la sentenza n. 838/2006 con la quale la Corte di Appello di Venezia aveva confermato la pesante responsabilità di un amministratore nel dissesto della società da lui guidata e poi fallita.

La cosa assai interessante è che, anche data la lunghezza abnorme del giudizio, il Curatore aveva chiesto al Giudice Delegato l’autorizzazione all’abbandono dell’azione di responsabilità e, dopo averla ottenuta ed una volta terminati gli ultimi adempimenti, aveva chiuso il fallimento.

In virtù di quanto premesso il ricorrente aveva chiesto dichiararsi la cessata materia del contendere sul presupposto della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

La Corte ha però manifestato di non voler aderire a detta richiesta, evidenziando come l’abbandono dell’azione di responsabilità, giustificata dal Curatore sulla base di mere ragioni di opportunità dovute alle difficoltà di eseguire la sentenza, non costituiva fatto idoneo a determinare un nuovo assetto delle parti in relazione alla materia del contendere.

Permaneva, dunque, l’interesse del ricorrente alla pronuncia sul ricorso.

Quanto infine alla sopravvenuta chiusura del fallimento, la Corte ribadisce che la stessa può incidere sulle azioni, come la revocatoria, che presuppongono in atto la procedura o esprimono posizioni solo della massa dei creditori (si richiama a questo proposito Cass. n. 9386/2011), ma non sulle azioni, come quella di responsabilità, che sussistono anche al di fuori della Procedura e non la presuppongono.

Buona lettura.

Simone Giugni

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Autorità: Cassazione Civile Sez. I

Data: 14.03.2014

Numero: 6029

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Rordorf Renato                                                                                Presidente

Dott. Di Amato Sergio                                                                               Consigliere

Dott. Bernabai Renato                                                                              Consigliere

Dott. Di Virgilio Rosa Maria                                                                      Rel. Consigliere

Dott. Cristiano Magda                                                                               Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18724/2007 proposto da:

G.R.

(omissis)

Ricorrente

contro

Fallimento C. S.r.l.

Intimato

avverso la sentenza n. 838/2006 della Corte di Appello di Venezia, depositata il 17/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2014 dal consigliere Dott. Rosa Maria Di Virgilio;

udito, per il ricorrente, l’Avv. ______________ che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fimiani Pasquale, che ha concluso per la cessata materia del contendere, in subordine accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento della S.r.l. C., dichiarato con sentenza del 9/11/1990, promuoveva azione di responsabilità nei confronti di G.R., G.A., L.V. e M.V., i primi tre quali amministratori e l’ultimo liquidatore della società fallita, indicando in £ 6 miliardi il danno arrecato al patrimonio sociale ed addebitando una serie di fatti per i quali chiedeva la condanna solidale dei convenuti.-

Tutti i convenuti si costituivano ed eccepivano la prescrizione nonché l’infondatezza della domanda.

Il Tribunale, per quanto qui interessa, riteneva la responsabilità di G.R. ed A. per la sottrazione di £ 2.832.484.272, nonché del M. per la mancanza di beni in magazzino, e li condannava a detto importo oltre al pagamento delle spese.

Interponevano appello G.R. ed A., censurando il rigetto dell’eccezione di prescrizione, facendo valere l’assoluzione da parte del tribunale Penale in data 25/10/00, per insussistenza del fatti, e che neppure in sede civile era stata provata la distrazione.

Appellava anche il M.

La Corte di Appello, con sentenza 27 ottobre/17 maggio 2006, ha respinto l’appello del G., gravando questi delle spese del doppio grado, ed ha reso ulteriori statuizioni relative agli altri due appellanti.

Il Giudice del merito, premessa l’applicazione del termine di prescrizione quinquennale decorrente dalla data in cui era divenuta irrevocabile la sentenza penale, ex art. 2947 c.c., comma 3, ha ritenuto che, al momento della notifica del ricorso in sede cautelare del 9/11/95, per la domanda risarcitoria in relazione al fatto di distrazione di materie prime corrispondente al reato di bancarotta fraudolenta contestato sub capo A) del capo di imputazione, non era ancora maturata la prescrizione per i due G. ed il M.;

che, quanto alla mancata appostazione nei bilanci antecedenti quello chiuso al 31/1/89 di perdite di crediti che si erano manifestate nel bilancio 31/12/89, corrispondente al fatto addebitato a G. R. sub D) del capo di imputazione, non era compiuta la prescrizione quinquennale del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 444 c.p.p., mentre si era prescritta la domanda rivolta verso G.A. perché non era stato avviato il procedimento penale verso la stessa, e al 9/11/95 si era quindi compiuto il termine quinquennale, decorrente dalla data in cui era divenuto il patrimonio sociale insufficiente al soddisfacimento dei crediti, ex art. 2394 c.c., da individuarsi al 30/6/90, data di deposito del bilancio chiuso al 31.12.89.

La Corte di Appello ha ritenuto la responsabilità del G. per l’ammanco di cassa, visti i prelievi in contanti effettuati tra il 15 ed il 31 dicembre 1989, allorché era amministratore unico, iscritti a credito nel conto “Sovvenzioni diverse”, sulla cui natura e destinatari nulla era stato scoperto, neanche a mezzo della C.T.U., espletata sia in sede civile che penale, se non nel breve volgere di fine anno erano state addirittura contestuali al loro passaggio a “Perdite su crediti”, quindi già nati come inesigibili.

Ricorre avverso detta pronuncia il G., sulla base di due motivi.

Il Fallimento non ha svolto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver applicato la disciplina della prescrizione ex art. 2947 c.c., comma 3, ritenendo che i fatti posti a base della domanda risarcitoria coincidessero con quanto contestato sub d) del capo di imputazione, l’unico capo contestato solo al G., relativo non all’ammanco dalle casse sociali di £ 2.832.484.272, ma alla dissimulazione del dissesto societario per gli anni 1997 e 1998, omettendo di evidenziare crediti in sofferenza, né la conclusione muterebbe  a volere considerare i capi di imputazione sub a) e b).

1.2. Col secondo mezzo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione e falsa applicazione dell’art. 2947 cc., comma 3, applicabile solo in caso di totale identità e concomitanza tra illecito civile e penale, ed in presenza di più fatti contestati, rimanendo ogni singolo episodio a sé.

2.1. Nella memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente ha dedotto che con istanza del 16/10/2006, Il Curatore del Fallimento C. S.r.l.

ha chiesto al Giudice delegato l’autorizzazione ad abbandonare la causa relativa all’azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori della società fallita, tra cui il G.R.;

che, espressosi favorevolmente il Comitato dei creditori, il Tribunale, con provvedimento del 26.10.06, ha autorizzato quanto richiesto; che il 15/10/07 il G.D. ha ordinato il deposito in cancelleria nel progetto di riparto finale proposto dal Curatore e approvato dal Comitato dei creditori; che il 17/12/07, il Curatore del Fallimento, dopo la ripartizione finale dell’attivo, ha depositato l’istanza per la chiusura della procedura; che il Tribunale, con decreto del 20/12/07, ha disposto la chiusura del Fallimento per la ripartizione finale dell’attivo.

Ciò posto, il G., premesso di non avere ricevuto alcuna comunicazione dei detti provvedimenti, venendone a conoscenza solo a settembre/ottobre 2013, e di avere ritualmente notificato al Fallimento il ricorso per cassazione il 28/6/07, ha chiesto la cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata e la pronuncia di cessazione della materia del contendere “sul presupposto della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del giudizio”, stante la sopravvivenza del fatto nuovo, estraneo al processo, diretto ad incidere sul rapporto controverso e dunque a far venire meno l’oggetto del giudizio, con le originarie reciproche pretese/difese.

A tale richiesta non può aderirsi.

Il ricorrente argomenta e fa valere la propria richiesta di pronuncia di cessazione della materia del contendere, da cui la caducazione delle sentenze emesse, interpretando la richiesta del Curatore al Tribunale fallimentare, alla stregua della rinuncia del fallimento ad ogni pretesa nei propri confronti, che costituirebbe il fatto nuovo, idoneo a determinare il venire meno delle ragioni di contrasto tra le parti e tale da rendere incontestato il venir meno dell’interesse della parte alla pronuncia di merito (in tale senso, vedi la pronuncia 10553/09).

L’interpretazione data dalla parte alla richiesta di autorizzazione avanzata ed ottenuta dal Curatore non è condivisibile.

Il Curatore, infatti, nell’istanza depositata il 25 ottobre 2006, e quindi in data anteriore alla notifica del ricorso per cassazione, premesso di avere promosso azione di responsabilità nei confronti di G.R., G.A. e M.V.; di avere ottenuto sentenza favorevole in primo grado e che era stata emessa dalla Corte di Appello sentenza di parziale riforma e di rigetto dell’appello proposto dal G.; che il G., l’unico condannato, era nullatenente e non in grado di pagare alcunché; di concordare con il difensore del Fallimento nella non opportunità di ricorrere in cassazione e che “proseguire l’attività esecutiva nei confronti del G. appare impossibile”, ha chiesto al Tribunale di essere autorizzato “ad abbandonare la causa riguardante l’azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c., nei confronti degli ex amministratori G.R., G.A. e M.V. ed a rinunciare all’azione esecutiva nei confronti del G.R.”.

Orbene, premesso che alla data dell’istanza e della relativa autorizzazione, concessa dal Tribunale il 26/10/2006, era pendente il termine per l’impugnazione della sentenza della Corte d’appello, e che, alla stregua di detta pronuncia, il Fallimento era risultato vittorioso nei confronti del solo G., considerato il chiaro riferimento all’azione esecutiva che si prevedeva del tutto infruttuosa, il tenore dell’istanza appare essere nel senso di una mera rinuncia a mettere in esecuzione la pronuncia nella parte favorevole al fallimento, senza alcuna implicazione di disposizione del diritto sostanziale.

Né a diversa conclusione può indurre il riferimento all’abbandono della causa di responsabilità anche nei confronti del G.R., tenendo ben distinte le due situazioni, da un lato la soccombenza verso G.A. ed il M. e dall’altra la prospettiva della totale infruttuosità dell’azione esecutiva nei confronti del G.R.

Ne consegue che non può ritenersi determinato un nuovo assetto delle parti in relazione alla materia del contendere e che quindi persiste l’interesse del ricorrente alla pronuncia sul ricorso.

Quanto infine alla sopravvenuta chiusura del fallimento, è noto che la stessa può incidere sulle azioni, come la revocatoria, che presuppongono in atto la procedura o esprimono posizioni solo della massa dei creditori (vedi la pronuncia 9386/2011), ma non sulle azioni, come quella di responsabilità, che sussistono anche al di fuori della Procedura, né la presuppongono.

2.2. Il primo motivo del ricorso è inammissibile, per carenza del momento di sintesi, attesa l’applicazione nel caso dell’art. 366 bis c.p.c., come inserito dal D. Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, per risultare depositata il 17 maggio 2006 la sentenza impugnata.

2.3. Anche il secondo motivo va ritenuto inammissibile.

Il ricorrente infatti argomenta la censura, deducendo e facendo valere l’estraneità del fatto a sé addebitato e posto a base della responsabilità come amministratore, ma la parte non indica se e dove ha prodotto il capo di imputazione nel giudizio di merito, né indica detto documento specificamente nel ricorso.

E’ palese il mancato rispetto da parte del ricorrente del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6; ed invero, come statuito dalle Sezioni Unite nella pronuncia 7161/2010 (conf. la successiva pronuncia resa a sezioni semplici, 17602/2011), in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D. Lgs. N. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso richiedente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione nel fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede del documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.

3.1. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l’intimato Fallimento.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2014.

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