Cass. 08.05.2014 n. 9998 (la revoca dell’ammissione al concordato preventivo non può essere impugnata se non ha carattere decisorio)

Cassazione Civile Sezione I

Data 08.05.2014

Numero 9998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Ceccherini Aldo                                                                             Presidente

Dott. Piccinini Carlo                                                                                 Consigliere

Dott. Di Amato Sergio                                                                            Rel. Consigliere

Dott. Lamorgese Antonio                                                                     Consigliere

Dott. De Marzo Giuseppe                                                                    Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 10958/2012 proposto da:

________________ S.r.l. in liquidazione,

(omissis)

Ricorrente

contro

_______________ S.r.l. in liquidazione, già in concordato preventivo, oggi in fallimento,

(omissis)

Controricorrente

contro

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona;

Intimata

avverso il decreto del Tribunale di Verona, depositato il 13/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2014 dal Consigliere Dott. Sergio Di Amato;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato _________ che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la contro ricorrente, l’Avvocato ____________, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pratis Perfelice, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 13 marzo 2012 il Tribunale di Verona revocava l’ammissione al concordato preventivo della S.r.l. ____________, riservando all’esito della convocazione della debitrice, fissata per il 24 aprile 2012, ogni decisione sulla istanza di fallimento presentata nei confronti della medesima. In particolare, il Tribunale osservava che: 1) la proposta di concordato si fondava sulla pretesa opponibilità di un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., ai creditori che successivamente alla trascrizione di detto vincolo avevano maturato un diritto di prelazione; 2) tuttavia, tale vincolo costituito al fine di “evitare che l’aggressione disordinata del patrimonio dell’impresa in crisi” potesse “comportare una dispersione del valore” che danneggiasse “i creditori” e impedisse “un’equa distribuzione degli effetti dell’insolvenza”, non era in realtà  opponibile opponibile ai creditori perché la fattispecie prevista dall’art. 2645 ter c.c. non era idonea a comprendere un atto di segregazione dei beni da parte dell’imprenditore intenzionato a presentare domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. A tale conclusione doveva pervenirsi non tanto per il carattere inderogabile dell’art. 2740 c.c., in realtà più volte derogato dal legislatore, quanto per il carattere speciale della disciplina concorsuale che, con riferimento agli effetti protettivi, ha riguardo, come dispone la L. Fall., alla data di presentazione della domanda di concordato, nonché per inconfigurabilità  sia di un potere del debitore di scegliere il momento nel quale rendere operativo il vincolo, con possibile discriminazione tra i creditori e con possibile conseguente esito favorevole di una eventuale azione revocatoria del creditore pregiudicato, sia addirittura, come previsto nella specie, di un potere di riservare i beni vincolati soltanto al soddisfacimento dei creditori aderenti alla proposta; 3) ne conseguiva la non fattibilità del concordato in quanto il valore dei beni, costituenti l’attivo, era assorbito per intero dai crediti muniti di prelazione sugli stessi per effetto di ipoteche iscritte tra la data di costituzione del vincolo in opponibile e la data di presentazione della domanda di concordato.

La S.r.l. __________________ propone ricorso straordinario per cassazione, deducendo due motivi. Il fallimento della S.r.l. _________________ resiste con controricorso.

DIRITTO

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2645 ter c.c., nonché della L. Fall., artt. 160 e 173, lamentando che erroneamente il Tribunale aveva escluso l’opponibilità ai creditori del vincolo di destinazione trascritto. Infatti, l’art. 2645 ter ha tipizzato un effetto negoziale di separazione e destinazione non limitato ai soli negozi diretti a perseguire un fine di solidarietà, ma esteso a tutti i negozi diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela; in particolare, meritevole di tutela è lo scopo di determinare tra tutti i creditori una situazione assoluta di par condicio e di salvaguardare le condizioni per un accordo con i creditori e tale meritevolezza prescinde dalla possibilità di un uso distorto dell’istituto, cui l’ordinamento consente di reagire, in caso di pregiudizievolezza, indipendentemente dalla validità del vincolo. Quanto al riferimento ai creditori non aderenti l’integrale soddisfacimento; con il passaggio al concordato preventivo era evidente che la proposta era diretta a tutti i creditori. Il vincolo, d’altro canto, era diretto ad evitare quelle iscrizioni di ipoteche che la legge, in caso di fallimento, indica come revocabili se effettuate nel periodo immediatamente precedente l’inizio della procedura concorsuale.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione della L Fall., artt. 168 e 169, nonché dell’art. 2645 ter c.c., lamentando che il Tribunale, nell’affermare che l’effetto protettivo poteva collegarsi unicamente alla proposizione della domanda di concordato, non aveva considerato, per la sostanziale equiparabilità degli effetti del vincolo di destinazione al pignoramento, l’applicabilità nella procedura di concordato della L. Fall., art. 45, e quindi dell’art. 2916 c.c., laddove prevede l’inopponibilità dell’ipoteca iscritta dopo il pignoramento, ma prima della domanda di concordato.

Il ricorso è inammissibile.

Al momento della proposizione del ricorso il fallimento della ricorrente non era stato dichiarato, anche se era stato avviato, come risulta dallo stesso decreto impugnato, il procedimento prefallimentare. In questa situazione, pertanto, occorre, anzitutto, verificare se il decreto di revoca di fallimento sia impugnabile con ricorso straordinario per cassazione e solo ove a tate interrogativo si dia risposta positiva si dovrebbe accertare quali siano gli effetti sul ricorso della sopravvenuta dichiarazione di fallimento.

Al primo interrogativo, tuttavia, deve darsi risposta negativa. I provvedimenti giurisdizionali aventi forma giuridica diversa da quella della sentenza sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. soltanto quando presentano, nel loro contenuto e nella loro disciplina, i caratteri della decisori età e della definitività. Tali caratteri, che devono coesistere, consistono, quanto alla decisori età, nella risoluzione di una controversia sui diritti soggettivi o status e, quanto alla definitività, nella mancanza di rimedi diversi e nell’attitudine del provvedimento a pregiudicare, con l’efficacia propria del giudicato, quegli status o quei diritti (ex plurimis Cass. 18 gennaio 2013, n. 1240; Cass. SS.UU. ord. 7 dicembre 2006, n. 26181).

Quanto alla definitività, la stessa può essere affermata, dovendosi ritenere che, nella specie, il provvedimento di revoca non sia reclamabile. Al riguardo, la prevalente dottrina si è espressa per l’esperibilità del reclamo, dividendosi poi sul punto se lo stesso sia disciplinato dalla L. Fall., art. 26, ovvero dall’art. 739 c.p.c., ovvero, infine, dalla L. Fall., art. 131, che in relazione al concordato fallimentare prevede, al quarto comma, la legittimazione del fallito, con riferimento, evidentemente, al caso in cui il decreto abbia negato l’omologazione, considerato anche che il decreto di omologazione del concordato fallimentare non è soggetto a gravame (art. 129, comma 4). In proposito, i dati offerti dalla legge fallimentare non sono univoci poiché, nelle varie fattispecie in cui la procedura di concordato si conclude negativamente, mentre l’art. 162 qualifica espressamente come non reclamabile il decreto che dichiara inammissibile la proposta di concordato, l’art. 173, applicabile nella specie, tace sul punto; l’art. 179, primo comma, richiama l’art. 162, con conseguente non reclamabilità del decreto emesso a seguito della mancata approvazione del concordato da parte dei creditori; l’art. 183 prevede la reclamabilità del decreto che conclude il giudizio di omologazione e lo stesso deve dirsi per il già citato art. 131, nel caso di diniego dell’omologazione. In tale situazione si deve concludere che la reclamabilità è prevista soltanto all’esito del giudizio di omologazione e non nel caso in cui il procedimento si interrompa al suo inizio o nel suo corso.

Invero, la scelta del legislatore, in situazioni nelle quali la riproponibilità del concordato non è necessariamente esclusa (se non viene dichiarato il fallimento), trova la sua spiegazione nel fatto che, giunti al termine della procedura, la riproposizione della domanda è stata ritenuta particolarmente gravosa in termini di celerità e di economia processuali, comportando il sacrificio delle rilevanti attività poste in essere sino a quel momento. Non altrettanto può dirsi nel caso previsto dall’art. 173 che, almeno normalmente, trova applicazione in una fase intermedia tra l’ammissione del concordato e la votazione dei creditori.

Difetta, tuttavia, nel caso in esame il requisito della decisori età.

In proposito, con riferimento alla L. Fall., art. 162, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che la dichiarazione di inammissibilità ha intrinseco carattere decisorio soltanto quando dipende da ragioni che escludono una consequenziale declaratoria di fallimento, quali, ad esempio, l’esclusione della qualità di imprenditore commerciale o l’assenza dello stato di insolvenza (e, dopo la riforma l’assenza dello stato di crisi) o il difetto di giurisdizione, dovendosi invece negare l’ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. quando il decreto è inscindibilmente connesso ad una successiva e consequenziale sentenza dichiarativa di fallimento (anche non contestuale), giacché in tal caso i vizi del decreto debbono esser fatti valere mediante l’impugnazione della sentenza (Cass. s.u. 14 aprile 2008, n. 9743). Lo stesso principio è stato ribadito anche dopo le riforme del 2005, 2006 e 2007, con riferimento al caso in cui l’inammissibilità della proposta di concordato è stata dichiarata in pendenza di una istanza di fallimento (Cass. 25 settembre 2013, n. 21901; Cass. s.u. 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass. 2 aprile 2010, n. 8186). I principi esposti devono valere anche in caso di revoca dell’ammissione al concordato e nel caso in esame non vi è dubbio che la revoca abbia rappresentato l’imprescindibile antecedente logico della successiva dichiarazione di fallimento, ancorché la stessa sia stata pronunziata soltanto dopo la proposizione del ricorso. Dalla stessa esposizione del ricorso emerge, infatti, che non erano in contestazione né lo stato di crisi (nella specie lo stato di insolvenza), né i requisiti soggettivi e dimensionali per la declaratoria di fallimento, né tantomeno la giurisdizione, ma la fattibilità giuridica del piano di concordato. Rispetto a tale questione, inoltre, è indifferente il fatto che al momento della proposizione del ricorso non fosse ancora intervenuta la dichiarazione di fallimento; rispetto alla fattibilità giuridica, infatti, la decisori età è assunta soltanto dalla dichiarazione di fallimento, in difetto della quale la revoca non pregiudica la riproposizione di una nuova proposta di concordato.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso perché le questioni proposte possono essere esaminate soltanto nell’eventuale reclamo avverso la dichiarazione di fallimento.

In conclusione, la revoca dell’ammissione al concordato preventivo non è impugnabile con reclamo – in analogia con quanto previsto dalla L. Fall., art. 162, comma 2, e art. 179, comma 1, rispettivamente in caso di mancata ammissione alla procedura e mancata approvazione del concordato da parte dei creditori – e non può essere impugnata neppure con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., quando non abbia carattere decisorio e cioè non sia fondata sull’insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso alla procedura o sul difetto di giurisdizione; al di fuori di tali ipotesi, infatti, la decisori età è acquisita soltanto con la dichiarazione di fallimento, in difetto della quale il debitore può proporre nuova domanda di concordato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite (omissis)

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2014.

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