Cass. 19.02.2016 n. 3324 (sugli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 3324 resa dalla Sez. I Civile della Corte di Cassazione in data 19.02.2016 (relatrice Dott.ssa Magda Cristiano).

Il provvedimento, prima di scendere nel merito, affronta due questioni di natura processuale, la prima delle quali – a dire la verità – riterrei ormai pacifica. La Corte riconosce, infatti, al creditore della società fallita la legittimazione a proporre reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, facoltà che a quanto mi risulta (stante l’ampia legittimazione attribuita dall’art. 18 comma 1 L.F. a “qualunque interessato”) non viene di norma posta in dubbio.

Il Supremo Collegio ritiene poi che la qualità di parte necessaria nel procedimento di revoca ex art. 173 L.F. vada riconosciuta al solo debitore, senza che il creditore sociale possa essere ritenuto litisconsorte necessario.

Nel merito, la sentenza affronta il tema del rapporto tra il compimento dell’atto di straordinaria autorizzazione non autorizzato (in special modo del pagamento potenzialmente lesivo della par condicio creditorum) e la revoca del concordato per atti di frode.

Preliminarmente la Corte individua il criterio della migliore soddisfazione dei creditori quale clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato, compreso quello meramente liquidatorio, e come regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore nel corso della procedura.

Alla luce di tale criterio, quindi, deve escludersi che il compimento dell’atto non autorizzato possa – da solo – condurre alla revoca del concordato.

Deve invece valutarsi l’effetto che tale atto può avere sull’interesse dei creditori, non potendo il disvalore dell’atto medesimo ricavarsi, sic et simpliciter, dalla violazione della par condicio creditorum.

I pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione non comportano, pertanto, l’automatica revoca ex art. 173 L.F. dell’ammissione alla procedura, revoca che consegue solo all’accertamento – che va compiuto dal Giudice del merito – che tali pagamenti sono diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Mi pare sinceramente un principio di buon senso che, se correttamente applicato, potrà contribuire ad evitare possibili storture dovute all’eccessivo formalismo.

Buona lettura.

Simone Giugni

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                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI  Aldo                            -  Presidente   -
Dott. CRISTIANO   Magda                      -  rel. Consigliere  -
Dott. SCALDAFERRI Andrea                          -  Consigliere  -
Dott. DE CHIARA   Carlo                           -  Consigliere  -
Dott. MERCOLINO   Guido                           -  Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:
                     sentenza
sul ricorso 15662/2013 proposto da:
______________  S.R.L.  (C.F.  (OMISSIS)),  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  _____  S.R.L.  IN  LIQUIDAZIONE  (C.F.
(OMISSIS)), in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente
domiciliate  in ROMA, ___________________, presso l'avvocato  ______
________,  rappresentate  e difese dall'avvocato  __________________,
giusta procura in calce al ricorso;
                                                       - ricorrenti -
                               contro
FALLIMENTO  DI  ___________  S.R.L., in  persona  del  Curatore  avv.
              B.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA ________,  presso  la
CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e  difeso
dall'avvocato   ______________,  giusta   procura   a   margine   del
controricorso;
                                                 - controricorrente -
avverso  la  sentenza n. 388/2013 della CORTE D'APPELLO  di  MESSINA,
depositata il 16/05/2013;
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del
15/10/2015 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito,  per le ricorrenti, l'Avvocato _________________, con  delega,
che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito,  per  il controricorrente, l'Avvocato __________________,  con
delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.
SALVATO  Luigi, che ha concluso per il rigetto del primo  motivo  del
ricorso, per l'accoglimento del terzo motivo e per l'assorbimento dei
restanti  motivi;  chiede  inoltre: si dichiari  la  inammissibilità
della domanda.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 16.5.013, ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18, proposto da __________ s.r.l. e dalla sua creditrice, __________ s.r.l., contro la sentenza del tribunale che, ad istanza del P.M., aveva dichiarato il fallimento della prima società dopo averne revocato l’ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 2.

La corte territoriale ha escluso che l’omessa comunicazione ai creditori della fissazione dell’udienza camerale per la revoca del concordato, finalizzata a consentire agli stessi di richiedere il fallimento della debitrice, avesse comportato la nullità del procedimento per violazione del diritto di difesa della __________. Nel merito ha rilevato che i vari e reiterati pagamenti di debiti, sorti sia in data anteriore che posteriore all’apertura della procedura concordataria, eseguiti da Punto Crai in difetto di autorizzazione del G.D., oltre che la violazione di altre regole cogenti tempestivamente segnalata dal Commissario Giudiziale, integravano altrettante ragioni di revoca del provvedimento di ammissione.

La sentenza è stata impugnata da __________ e dalla __________ s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria, cui il curatore del Fallimento ha resistito con controricorso.

Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo le ricorrenti lamentano il rigetto dell’eccezione con la quale avevano dedotto la nullità della sentenza dichiarativa per violazione del diritto di difesa dei creditori, cui non era stata data comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza per la revoca del concordato.

Premettono che la corte d’appello ha respinto l’eccezione limitandosi, sostanzialmente, a rilevare che __________era priva di legittimazione a sollevarla, in quanto la violazione della regola procedimentale era avvenuta nei confronti di soggetti (il PM ed i creditori) portatori dell’interesse, contrario a quello suo proprio, a sentir dichiarare il fallimento; osservano, a confutazione dell’argomento, che il giudice a quo non ha tenuto conto che il reclamo era stato proposto anche dalla creditrice __________ s.r.l. che, in quanto titolare di una distinta posizione giuridica rispetto a quella della debitrice, aveva un proprio, autonomo interesse ad ottenere una pronuncia sulla fondatezza, nel merito, dell’eccezione;

assumono, inoltre, che il ragionamento della corte territoriale sarebbe viziato dall’indimostrata petizione di principio che l’interesse dei creditori concordatari sia necessariamente in conflitto con quello del debitore, laddove, al contrario, essi potrebbero ritenere, e spesso in concreto ritengono, assai più conveniente che la crisi dell’impresa si risolva attraverso il concordato anzichè sfociare nella dichiarazione di fallimento: ciò che, in conclusione, fonderebbe il loro diritto a partecipare (al) ed a contraddire nel subprocedimento di revoca L. Fall., ex art. 173, il cui esito potrebbe pregiudicarli.

Il motivo deve essere respinto, previa integrazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., della motivazione che sorregge il capo della decisione impugnato.

Le censure delle ricorrenti muovono da una considerazione astrattamente condivisibile, atteso che all’interesse dell’impresa debitrice di evitare il fallimento attraverso la soluzione negoziale dello stato di crisi ben può corrispondere un uguale interesse del creditore, anche per il solo fatto che il concordato gli assicuri un soddisfacimento maggiore rispetto a quello che potrebbe conseguire in caso di apertura della procedura fallimentare.

Deve ritenersi che siffatto interesse legittimi il creditore, quale soggetto pregiudicato dal fallimento, a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa emessa ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 2, od a spiegare intervento ad adiuvandum nel giudizio di impugnazione proposto in via principale dal fallito. Tale potere di azione va però riconosciuto al creditore sulla base della regola generale dettata dalla L. Fall., art. 18, comma 1, che attribuisce la legittimazione a “qualunque interessato”, indipendentemente dal fatto che questi abbia partecipato alla c.d. istruttoria prefallimentare, e non già quale soggetto titolare di un proprio diritto, distinto da quello del debitore, da far valere nel sub-procedimento che si instaura a seguito dell’iniziativa assunta dal commissario giudiziale ai sensi dell’art. 173 cit., comma 1.

Va rammentato che il sub-procedimento in questione è suddiviso in due fasi: una prima, necessaria, nel corso della quale il tribunale è tenuto unicamente a verificare d’ufficio se ricorrano i presupposti previsti dalla norma per la revoca dell’ammissione al concordato; una seconda, eventuale e successiva, che si instaura solo su impulso del creditore o del P.M. e che conduce alla dichiarazione di fallimento ove ricorrano le condizioni previste dalla L. Fall., artt. 1 e 5, (Cass. n. 9050/014). Il provvedimento che dispone la revoca, che giunge all’esito della prima fase, non richiede la proposizione di un’apposita domanda e non è emesso nell’ambito di un giudizio contenzioso che si svolge fra parti contrapposte, ma costituisce espressione di un potere-dovere del giudice ricollegato in via esclusiva alla scoperta degli atti di frode, il cui esercizio non è subordinato all’acquisizione della posizione assunta sul punto dai creditori concordatari: come già affermato da questa Corte, si tratta, in buona sostanza, di un provvedimento che, per il carattere ufficioso che lo connota, non è riconducibile ad una dialettica di tipo negoziale, ma si iscrive nel novero degli interventi del giudice in chiave di garanzia (Cass. n. 14552/014).

Il debitore ammesso al concordato, titolare della situazione giuridica di cui si controverte ed al quale unicamente può imputarsi la commissione degli atti di frode, è perciò il solo effettivo destinatario della pronuncia e, in quanto tale, il solo soggetto cui va riconosciuta la qualità di parte necessaria nella prima fase del subprocedimento.

I creditori – che, ricorrendo i presupposti della revoca, non possono vantare alcun diritto alla prosecuzione del concordato – sono invece portatori di un interesse solo mediato e indiretto alla pronuncia, che non basta a identificarli quali litisconsorti necessari del debitore.

Identiche conclusioni vanno assunte con riguardo alla seconda, ed eventuale, fase che conduce all’emissione della sentenza dichiarativa, atteso che, come ripetutamente affermato da questa Corte, i creditori non sono portatori di un diritto al fallimento del loro debitore (Cass. S.U. n. 26181/06, Cass. nn. 21834/09, 19446/011) né, tantomeno, di un contrapposto diritto a non vederlo fallire.

Logico corollario di tali premesse è che la comunicazione che va fatta ai creditori ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 1, non integra una vera e propria vocatio in ius, ma assolve alla funzione di mera litis denuntiatio, ovvero di atto informativo volto a consentire la volontaria partecipazione degli stessi all’udienza, in contrapposizione o in adesione alla posizione del debitore, onde provocarne il fallimento od apportare, comunque, elementi utili alla decisione.

Ne consegue che l’omissione di detta comunicazione non comporta la nullità assoluta ed insanabile della prima fase del sub- procedimento, ma da luogo ad una nullità relativa che, non ripercuotendosi sull’eventuale fase successiva (in cui, per quanto appena detto, neppure è configurabile un litisconsorzio necessario fra creditori e debitore), non è causa di invalidità della sentenza dichiarativa. 3) Vanno a questo punto esaminati, in ordine logico, il terzo ed il quarto motivo del ricorso (quest’ultimo in relazione alla sola censura illustrata ai capi C.1 e C.2), che investono, rispettivamente sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di omessa motivazione, la decisione assunta nel merito dalla corte territoriale, la quale ha ritenuto che il pagamento di debiti scaduti eseguiti da __________senza l’autorizzazione del giudice delegato comportasse l’automatica revoca del concordato ai sensi della L. Fall., art. 173, u.c..

Le ricorrenti rilevano che la norma contempla fra gli atti in frode ai creditori non già tutti gli atti compiuti in assenza di autorizzazione del G.D., ma solo quelli che eccedono l’ordinaria amministrazione e contestano che fra questi ultimi rientrino i pagamenti di debiti scaduti che scaturiscono, come nella specie, o da rapporti continuativi sorti antecedentemente all’ammissione al concordato (locazione, leasing, rapporti di lavoro ecc.) o da esigenze elementari di tutela del patrimonio o di salvaguardia di un nucleo minimo di organizzazione aziendale.

Specificano, a tale riguardo, che il criterio discretivo tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione è da ricercare nella diversità della natura e degli effetti economici che essi producono nella sfera patrimoniale cui afferiscono, appartenendo alla prima categoria quelli che attengono alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio ed alla seconda quelli che comportano un impiego rischioso o notevole delle risorse, od una possibile dispersione del patrimonio, sempre tenuto conto delle specifiche caratteristiche della gestione e delle dimensioni dell’impresa.

Il motivo è fondato.

La pronuncia impugnata è sorretta dal rilievo che i pagamenti di crediti sorti anteriormente alla ammissione al concordato preventivo, effettuati dal debitore senza la necessaria autorizzazione del giudice delegato, sono atti lesivi della par condicio creditorum, dal momento che il nostro sistema normativo, previsto per la regolamentazione degli effetti del concordato, fa sì che in pendenza della procedura concordataria il patrimonio dell’imprenditore sia sottoposto ad un’oculata amministrazione, perché destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori, con divieto per il debitore del pagamento di debiti anteriori e per i creditori di agire esecutivamente per il soddisfacimento coattivo delle proprie ragioni;

il giudice a quo ha inoltre affermato che il debitore non può sottrarsi alla necessità dell’autorizzazione del G.D., che risponde ad una precisa regola di controllo e di tutela delle ragioni sottese alla procedura, neppure per il pagamento dei debiti sorti successivamente all’ammissione e che si sottraggono alla regola del concorso.

Ad avviso del collegio, il rigore che connota siffatti principi (enunciati, da ultimo, da Cass. n. 578/07, ma in controversia in cui si discuteva unicamente dell’inefficacia ex art. 167, comma 2, dei pagamenti, peraltro eseguiti nel corso di un concordato soggetto alla previgente disciplina) non merita condivisione e non può trovare applicazione nell’ambito dell’attuale istituto del concordato preventivo, ridisegnato, a partire dal 2005, da molteplici interventi legislativi.

Va intanto rilevato che il fondamento su cui poggia il predetto principio interpretativo, ravvisato nel divieto (implicitamente desumibile dal disposto della L. Fall., art. 168) del pagamento dei crediti anteriormente scaduti in quanto lesivi della par condicio, non varrebbe a giustificare l’automatica revoca dell’ammissione al concordato nell’ipotesi di pagamento senza autorizzazione dei crediti sorti in occasione o in funzione della procedura che, ai sensi dell’art. 111 novellato, si sottraggono alla regola del concorso;

né, a sostegno dell’assunto, appare sufficiente il richiamo a ragioni “di tutela e di controllo del patrimonio concordatario”, che hanno portata generale e che pertanto non possono essere invocate per attribuire al pagamento del credito prededucibile una speciale connotazione rispetto ad ogni altro negozio posto in essere dal debitore, sì che la sua valenza di atto di frode possa essere predicata prescindendo da qualsivoglia riscontro della sua attitudine a pregiudicare, in concreto, la consistenza di quel patrimonio.

Alle medesime conclusioni, benché sulla scorta di considerazioni parzialmente diverse, deve giungersi per ciò che concerne il pagamento di debiti scaduti anteriormente all’ammissione.

Può convenirsi sul fatto che la premessa dalla quale muove l’indirizzo interpretativo posto a fondamento della decisione impugnata trovi oggi un positivo riscontro nella norma dettata in materia di concordato con continuità aziendale (introdotto dalla L. n. 134 del 2012) dalla L. Fall., art. 182 quinquies, comma 4, che stabilisce che il debitore che presenta la relativa domanda di ammissione “può chiedere al tribunale di essere autorizzato… a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista… attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”: il tenore testuale della disposizione induce infatti a ritenere che il legislatore abbia, in linea di principio, inteso includere fra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione anche i pagamenti dei crediti anteriori, sottolineando come la violazione della regola della par condicio sia consentita solo se volta ad assicurare il buon esito della procedura.

Ciò non significa, tuttavia, che qualsivoglia pagamento di un debito anteriormente sorto, ove eseguito in difetto di autorizzazione, comporti senz’altro la revoca dell’ammissione al concordato ai sensi della L. Fall., art. 173, u.c..

Va ricordato che già nel vigore della previgente disciplina si discuteva se al compimento di atti non autorizzati a norma della L. Fall., art. 167, comma 2, conseguisse (secondo quanto allora previsto) l’automatica dichiarazione di fallimento, o se in tale ipotesi fosse comunque consentita al tribunale una valutazione in ordine all’applicabilità della sanzione.

La tesi meno restrittiva (certamente ricavabile dal tenore testuale dell’art. 173, u.c., che laddove prevede che la revoca consegue al compimento “di atti non autorizzati… o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori”, ben può essere inteso nel senso che debba “comunque” essere accertata la natura fraudolenta dell’atto non autorizzato), appare maggiormente aderente all’attuale disciplina dell’istituto, tenuto conto delle rilevanti novità che lo caratterizzano e dell’indubitabile favor accordato dal legislatore della riforma alla soluzione negoziata della crisi d’impresa.

Un primo argomento a sostegno di tale tesi può ricavarsi dal fatto che la condotta dell’imprenditore non è più sindacabile sotto l’aspetto della meritevolezza e che non compete al giudice di accertare la fattibilità economica del piano nè la convenienza economica della proposta: non si comprende allora perché il pagamento compiuto in difetto di autorizzazione dovrebbe costituire ragione di revoca del concordato indipendentemente dall’accertamento del suo disvalore oggettivo (che è ciò che connota l’atto di frode), ovvero della sua concreta idoneità a pregiudicare l’interesse dei creditori, da valutare non già in via immediata, ma in funzione dell’obiettivo finale che il piano presentato dal debitore si prefigge e delle modalità operative attraverso le quali detto obiettivo dovrebbe realizzarsi.

Un ulteriore argomento è desumibile dal rilievo che l’esercizio dell’impresa da parte del debitore ammesso al concordato non è più soggetto alla direzione del giudice delegato: ciò induce a ritenere che il potere di autorizzazione del giudice, tuttora contemplato dalla L. Fall., art. 167, comma 2, inerisca a quegli atti che, per la loro rilevanza, potrebbero incidere negativamente sul patrimonio del debitore e/o risultare incompatibili con quelli eventualmente già previsti ai fini della realizzazione del piano, rispetto ai quali si giustifica il permanere dell’esigenza della loro sottoposizione al controllo di legittimità.

Va infine considerato che il criterio della “migliore soddisfazione dei creditori” (solo di recente espressamente codificato, sempre con specifico riguardo al concordato con continuità aziendale, oltre che nel già citata L. Fall., art. 182 quinquies, comma 4, anche nel comma 1, del medesimo articolo, nonché nell’art. 186 bis), individua, come autorevolmente sostenuto in dottrina, una sorta di clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato (ivi compreso quello meramente liquidatorio, mediante cessione dei beni aziendali, proposto da __________, di cui si discute nella presente sede), quale regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura.

Alla luce di tale criterio, può agevolmente escludersi non solo che il compimento dell’atto non autorizzato conduca all’automatica revoca del concordato, ma anche che il disvalore oggettivo di tale atto (il pregiudizio che esso arreca alla consistenza del patrimonio del debitore) sia ricavabile, sic et simpliciter, dalla violazione della regola della par condicio, essendo, per contro, ben possibile che il pagamento di crediti anteriori si risolva in un accrescimento, anziché in una diminuzione, della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e tenda dunque all’obiettivo del loro miglior soddisfacimento (si pensi, in via meramente esemplificativa, ai pagamenti di crediti di lavoro – che impedisce che sul capitale maturino ulteriormente interessi e rivalutazione monetaria – od ai pagamenti di utenze, eseguiti al fine di evitare l’interruzione dell’erogazione del servizio, di prestazioni di manutenzione, di spese legali sostenute per difendere i beni dalla pretese avanzate da terzi, che risultano volti, direttamente o indirettamente, a conservare valore al patrimonio aziendale, in modo da ricavarne un maggior prezzo in sede di liquidazione).

Tirando le fila del discorso, va in definitiva affermato che, poiché l’autorizzazione del giudice è finalizzata al rispetto della proposta negoziale formulata con la domanda di concordato, non possono ritenersi atti di frode i pagamenti non autorizzati che non pregiudichino le possibilità di adempimento della proposta e, dunque, di ripartizione dell’attivo fra i creditori concordatari secondo i tempi e le percentuali in essa prevista. La corte del merito, che è pervenuta alla decisione limitandosi a rilevare che __________aveva eseguito in difetto di autorizzazione vari e reiterati pagamenti (ammontanti, come si evince dall’elenco specificamente allegato al ricorso e tratto dalla relazione del Commissario Giudiziale, a meno di 100.000 Euro a fronte di un fabbisogno concordatario di oltre 13 milioni di Euro), ma ha omesso di accertarne l’effettiva valenza di atti di frode, nonostante la natura dei rapporti da cui traevano origine i crediti soddisfatti (prestazioni di assistenza giudiziale, contratti di assicurazione di autoveicoli, di somministrazione, di manutenzione, di lavoro subordinato) e neppure si è preoccupata di verificare la data di insorgenza degli stessi (in buona parte successiva a quella di presentazione della domanda), è pertanto incorsa nei denunciati vizi di violazione di legge e di omessa motivazione. La sentenza impugnata deve in conseguenza essere cassata, con rinvio della causa, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione che si atterrà al seguente principio di diritto:

“I pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l’automatica revoca, ai sensi della L. Fall., art. 173, u.c., dell’ammissione alla procedura, la quale consegue solo all’accertamento, che va compiuto dal giudice del merito, che tali pagamenti sono diretti a frodare le ragioni dei creditori, in quanto pregiudicano le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato”.

Il giudice del rinvio regolerà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Il generico richiamo contenuto in sentenza alla “violazione di altre regole cogenti tempestivamente segnalata dal Commissario Giudiziale” è privo di valenza motivazionale.

Non v’è luogo, pertanto, all’esame degli ulteriori motivi del ricorso, inerenti questioni non affrontate dalla corte territoriale (che le ha evidentemente ritenute assorbite dal rilievo che l’effettuazione di pagamenti non autorizzati era di per sè sufficiente a giustificare la revoca del concordato) e che andranno riproposte in sede di giudizio di rinvio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, accoglie il terzo nonché, limitatamente alle censure di cui ai capi C1 e C2, il quarto motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2016

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