Cass. SS.UU. 15.05.2015 n. 9934 (sui rapporti tra fallimento e risoluzione del concordato preventivo)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 9934 resa dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione in data 15 maggio 2015 (relatore Dott. Di Amato).

Il provvedimento è indubbiamente interessante sotto il profilo “processuale” perché affronta l’annoso tema della sopravvivenza dell’automatica dichiarazione di fallimento all’esito della risoluzione del concordato preventivo.

Aderendo all’indirizzo già espresso da Cass. 23.11.2012 n. 20757, le Sezioni Unite ribadiscono che “la riforma dettata dal d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in difetto di diversa disposizione transitoria (riferendosi alle sole procedure di fallimento e di concordato fallimentare il suo art. 150, che per esse ha sancito l’ultrattività della disciplina precedente), è immediatamente applicabile alla fattispecie di concordato preventivo, in corso di esecuzione al momento della sua entrata in vigore, derivandone, pertanto, l’impossibilità della dichiarazione di fallimento d’ufficio dell’imprenditore ammesso al concordato, in ipotesi di sua risoluzione”.

Si deve perciò concludere che l’abrogazione espressa nella dichiarazione di fallimento d’ufficio d opera del decreto correttivo n. 169/2007, che ha riscritto l’art. 186 l. fall., ha valore meramente ricognitivo di una abrogazione implicita che è stata indotta nel precedente testo dell’articolo dal d. lgs. n. 5/2006, che ha riformulato l’art. 6 l. fall. in modo da rendere incompatibile la sopravvivenza dell’istituto nell’ambito della disciplina del concordato preventivo e che ha perciò superato il tralaticio ma disarmonico vecchio testo normativo, divenuto incoerente sia con la abrogazione dell’istituto della dichiarazione di fallimento d’ufficio, sia con il mutamento dei presupposti della procedura di concordato preventivo”.

Buona lettura.

Simone Giugni

*******

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUIGI ANTONIO ROVELLI                 – Primo Pres.te f.f. -

Dott. MARIA GABRIELLA LUCCIOLI          – Presidente Sezione -

Dott. RENATO RODORF                              – Presidente Sezione -

Dott. SERGIO DI AMATO                             – Rel. Consigliere -

Dott. VINCENZO DI CERBO                         – Consigliere -

Dott. PIETRO CURZIO                                  – Consigliere -

Dott. ADELAIDE AMENDOLA                     – Consigliere -

Dott. ANTONIO GRECO                                – Consigliere -

Dott. PASQUALE D’ASCOLA                         – Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 20418-2011 proposto da :

E. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis), presso lo studio dell’avvocato C.B., che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

C. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del liquidatore pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis), presso lo studio dell’avvocato P. B., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati G.B., I.L., per delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

nonchè contro

B.M., FALLIMENTO 216/2011 I. S.R.L.

- intimati -

avverso il decreto nel procedimento iscritto al n. 58/2011 v.g. (riunito al 239/2011 v.g.) della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il 14/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;

udito l’Avvocato C.B.;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. U.A., che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il primo motivo del ricorso incidentale ed accolto e/o assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 30 novembre 2010 il Tribunale di Reggio Emilia, su istanza del commissario giudiziale, dichiarava risolto ai sensi dell’art. 186 l. fall. (nella formulazione anteriore al d. lgs. N. 169/2007) il concordato preventivo della C. s.r.l. in liquidazione (d’ora in poi solo C.), ma non dichiarava, contestualmente, il fallimento della menzionata società.

Il decreto veniva reclamato innanzi alla Corte d’appello di Bologna dalla creditrice I. s.r.l. (d’ora in poi solo I.) sul presupposto che il Tribunale avrebbe dovuto necessariamente dichiarare, in sede di risoluzione del concordato preventivo, anche il fallimento della società debitrice. Il giudizio di reclamo, nel quale si costituiva la società debitrice, veniva interrotto a causa della dichiarazione di fallimento della società reclamante e riassunto a cura della E. s.r.l. (d’ora in poi solo E.), cessionaria del credito vantato dalla reclamante. Nel giudizio interveniva altresì il curatore della fallita I.

Respinte le eccezioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle parti, la Corte d’appello, con decreto del 14 luglio 2011, rigettava il reclamo rilevando che, a seguito della modifica dell’art. 6 l. fall., ad opera del d. lgs. N. 5/2006, non poteva più procedersi alla declaratoria d’ufficio del fallimento, dovendo ritenersi tacitamente abrogata la previsione di cui al vecchio testo dell’art. 186 l. fall.

Nelle more, con decreto del 18 marzo 2011, il Tribunale di Reggio Emilia ammetteva la C. ad una nuova procedura di concordato preventivo.

Avverso il decreto della Corte d’appello di Bologna la E. proponeva ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. Resisteva con controricorso la C., la quale deduceva l’inammissibilità del ricorso, a seguito della nuova ammissione della C. alla procedura di concordato preventivo, e proponeva ricorso incidentale affidato a due motivi.

Con ordinanza interlocutoria n. 9476 del 30 aprile 2014, la prima sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente, esponendo di condividere l’assunto della resistente secondo cui l’ammissione ad una nuova procedura di concordato preventivo precludeva la dichiarazione di fallimento ed evidenziando che tale assunto poteva porsi in contrasto con quanto affermato dalle sezioni unite della Corte con la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo proposto la ricorrente principale E. deduce la violazione dell’art. 186 l. fall., nel testo anteriore al d. lgs. N. 169/2007, nonché degli artt. 12 e 15 delle preleggi, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva equilibrato la dichiarazione di fallimento prevista dagli artt. 162, 163 e 179 l. fall.  Con quella imposta dal citato art. 186 l. fall.

Infatti, solo le prime disposizioni richiamavano il fallimento d’ufficio, come disciplinato dagli art. 6 e 8 l. fall. Prima della riforma del 2005, mentre l’art. 186 l. fall. Imponeva l’automatica dichiarazione di fallimento con la sentenza che risolveva o annullava il concordato, sul presupposto che già vi fosse stato un accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi del fallimento.

Nulla, pertanto, consentiva di desumere dalla espunzione del fallimento d’ufficio anche l’abrogazione implicita della dichiarazione automatica di fallimento prevista dall’art. 186 l. fall. Inoltre, prima del c.d. decreto correttivo del 2007, l’iniziativa per la risoluzione del concordato poteva essere assunta anche da soggetti diversi dai creditori i quali, quindi, accogliendo la tesi della sentenza impugnata circa l’implicita abrogazione della automatica di fallimento, sarebbero rimasti esposti ad una risoluzione di concordato, della quale avrebbero potuto non avere notizia, senza la tutela di una contestuale dichiarazione di fallimento.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la C. ha dedotto il vizio di motivazione, lamentando la mancata dichiarazione di inammissibilità del reclamo per difetto di legittimazione tanto della I. quanto della E., poiché la prima non era creditrice della C. e la seconda, pertanto, era cessionaria di un credito esistente.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce il vizio di motivazione per la mancata dichiarazione della cessazione della materia del contendere ovvero della inammissibilità del reclamo per carenze di interesse ad impugnare, considerato che successivamente al decreto impugnato la C. era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, con conseguente preclusione della dichiarazione di fallimento. In sostanza, pertanto, la ricorrente incidentale ripropone con riferimento al reclamo le argomentazioni già svolte con riferimento alla eccezione di inammissibilità del ricorso, riferita in narrativa.

L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata. Invero, secondo l’assunto dell’odierna ricorrente, la risoluzione del concordato preventivo avrebbe dovuto comportare l’automatica dichiarazione di fallimento, alla stregua della disciplina dettata dall’art. 186 l. fall. Nella formulazione anteriore del c.d. decreto correttivo del 2007. Ne discende che, qualora per tale ragione fosse accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato, secondo l’assunto della ricorrente dovrebbe essere dichiarato il fallimento della C. con conseguente improcedibilità del nuovo concordato preventivo al quale la C. è stata ammessa. E’ evidente, pertanto, l’interesse  con precedenza ricorrere della E. e ciò indipendentemente dalla fondatezza o meno del suo assunto circa l’assenza di preclusioni alla dichiarazione di fallimento derivanti dalla ammissione a nuova procedura di concordato preventivo dopo la risoluzione del precedente concordato. L’interesse ad agire richiesto dall’art. 100 c.p.c., in quanto condizione preliminare di ammissibilità della domanda giudiziaria, deve essere valutato alla stregua della prospettazione operata dalla parte (Cass. 9 maggio 2008, n. 11554), e non lo si può negare sul presupposto che le conseguenze da trarsi dai fatti allegati siano diverse da quelle sostenute dall’attore, attenendo ciò alla fondatezza nel merito della domanda.

Tanto premesso, si deve esaminare con precedenza il ricorso principale, malgrado il ricorso incidentale proponga la questione pregiudiziale della inammissibilità del reclamo sul quale si è pronunziata la Corte di appello di Bologna. Infatti, secondo il principio affermato da questa Corte a sezioni unite, con la decisione n. 7381 del 25 marzo 2013, “il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito… ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo i presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale”.

Il ricorso principale è infondato. Si deve premettere in punto di fatto che, come è pacifico in causa, la C. è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, della cui risoluzione qui si discute, con decreto del 6 settembre 2006 ed il concordato è stato omologato in data 7 marzo 2007. Il d. lgs. n. 5/2006 di riforma della legge fallimentare, che ha abrogato l’istituto del fallimento d’ufficio, ma ha lasciato inalterata la lettera dell’art. 186 l. fall., ha dettato all’art. 150 una disposizione transitoria soltanto per le procedure di fallimento e di concordato fallimentare in corso al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, prevedendo l’ultrattività della precedente disciplina. D’altro canto, il c.d. decreto correttivo n. 169/2007, che ha riscritto l’art. 186 l. fall., eliminando la dichiarazione di fallimento all’esito della risoluzione del concordato, prevede all’art. 22 che le nuove disposizioni si applicano alle procedure concorsuale aperte successivamente al 1° gennaio 2008, data della sua entrata in vigore. Da quanto detto consegue che la fattispecie in esame ricade nel c.d. regime intermedio, ovvero quello compreso tra il 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del d. lgs. n. 5/2006 ed il 1° gennaio 2008, data di entrata in vigore dl d lgs. n. 169/2007. Ne consegue ulteriormente che nella fattispecie in esame la possibilità di dichiarare il fallimento dopo la risoluzione del concordato preventivo dipende dalle ricadute sull’art. 186 l. fall. Che si riconnettono alla abrogazione del fallimento d’ufficio.

Il tema della sopravvivenza dell’automatica dichiarazione di fallimento all’esito della risoluzione del concordato preventivo è stato già affrontato da questa Corte che, con la sentenza 23 novembre 2012, n. 20757, ha affermato il principio secondo cui “la riforma dettata dal d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in difetto di diversa disposizione transitoria (riferendosi alle sole procedure di fallimento e di concordato fallimentare il suo art. 150, che per esse ha sancito l’ultrattività della disciplina precedente), è immediatamente applicabile alla fattispecie di concordato preventivo, in corso di esecuzione al momento della sua entrata in vigore, derivandone, pertanto, l’impossibilità della dichiarazione di fallimento d’ufficio dell’imprenditore ammesso al concordato, in ipotesi di sua risoluzione”.

Tale orientamento deve essere confermato. Il d. lgs. n. 5/2006, modificando gli artt. 6 e 147 della legge fallimentare, nella parte in cui prevedevano la dichiarazione d’ufficio, ha tacitamente abrogato, per incompatibilità, le altre disposizioni della legge fallimentare che, nella formulazione successiva al citato d. lgs. n. 5/2006 ma anteriore al c.d. decreto correttivo (d. lgs. n. 169/2006), prevedevano ancora la dichiarazione d’ufficio del fallimento (in questo senso si sono espresse, oltre la ricordata Cass. n. 20575/2012 con specifico riferimento all’art. 186 l. fall., Cass. 12 agosto 2009, n. 18236 e Cass. 2 aprile 2010, n. 8186, con riferimento alle ipotesi di cui agli artt. 162 e 163 l. fall. nonché Cass. 10 aprile 2012, n. n. 5657 con riferimento all’art. 173 l. fall.). Del tutto erroneo appare l’assunto della ricorrente secondo cui nel caso previsto dall’art. 186 l. fall. non si versava in un’ipotesi di dichiarazione d’ufficio del fallimento, ma in una diversa ipotesi di dichiarazione automatica. Invero, la distinzione proposta dal ricorrente suppone che, risolto il concordato, il Tribunale non fosse chiamato ad alcuna valutazione e la dichiarazione di fallimento fosse una conseguenza necessaria. Ciò, tuttavia, prima della riforma del concordato dettata dal d.l. n. 35/2005, corrispondeva soltanto a quanto normalmente accadeva, non potendosi però escludere, seppure nell’ambito di una ipotesi di scuola, che lo stato di insolvenza definitivamente accertato con la sentenza di omologazione del concordato fosse successivamente superato per fatti sopravvenuti, pur in una situazione di perdurante inadempimento. Pertanto, esclusa l’automaticità, assumeva rilievo il fatto che la dichiarazione di fallimento era pronunciata dal tribunale indipendentemente dall’istanza di un soggetto legittimato (in quel senso, e plurimus, Cass. 18 aprile 2008, n. 10195); si trattava, pertanto, certamente di una dichiarazione d’ufficio, il cui carattere non era contraddetto dall’eventuale esistenza di fallimento anteriori alla ammissione alla procedura di concordato, considerato che il fallimento veniva dichiarato prescindendo del tutto da tali istanze. Inoltre, dopo l’entrata in vigore della cennata riforma del 2005, presupposto della procedura di concordato preventivo non era più soltanto lo stato di insolvenza, ma anche un meno grave stato di crisi. Tale mutamento del presupposto della procedura era perciò incompatibile con l’assunto di una dichiarazione automatica del fallimento all’esito della risoluzione del concordato preventivo e faceva venire meno qualsiasi fondamento alla già debole argomentazione dell’insussistenza di una dichiarazione d’ufficio per l’accertamento dello stato di insolvenza insito nell’omologazione del concordato.

Si deve perciò concludere che l’abrogazione espressa nella dichiarazione di fallimento d’ufficio d opera del decreto correttivo n. 169/2007, che ha riscritto l’art. 186 l. fall., ha valore meramente ricognitivo di una abrogazione implicita che è stata indotta nel precedente testo dell’articolo dal d. lgs. n. 5/2006, che ha riformulato l’art. 6 l. fall. in modo da rendere incompatibile la sopravvivenza dell’istituto nell’ambito della disciplina del concordato preventivo e che ha perciò superato il tralaticio ma disarmonico vecchio testo normativo, divenuto incoerente sia con la abrogazione dell’istituto della dichiarazione di fallimento d’ufficio, sia con il mutamento dei presupposti della procedura di concordato preventivo.

Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento di quello incidentale.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidate in euro 4.200,00=, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CP.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 febbraio 2015.

 

Il cons. estensore                                                                  il presidente

 

Depositato in Cancelleria oggi 15 maggio 2015

Scrivi una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *