Trib. Piacenza 12.02.2015 (sull’azione di responsabilità dei creditori nel concordato preventivo)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza resa dal Tribunale di Piacenza lo scorso 12.02.2015.

Il provvedimento affronta (pur nelle forme del “vecchio” rito societario) un tema assolutamente innovativo, ossia quello della legittimazione dei creditori ad esperire l’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. nei confronti degli amministratori di una società ammessa alla procedura di concordato preventivo.

Si tratta, in particolare, di conciliare le esigenze del creditore danneggiato con quelle della procedura e, in particolare, con la previsione dell’art. 184 L.F. che disciplina l’effetto vincolante esdebitatorio del concordato preventivo nei confronti dei creditori.

Con ampia e pregevole motivazione, il Tribunale piacentino conclude per l’ammissibilità della suddetta azione, soprattutto in considerazione del fatto che la stessa non altera la par condicio creditorum, in quanto ha finalità risarcitorie solo nei riguardi del singolo amministratore soggetto distinto dalla società e privo di poteri di rivalsa nei confronti della stessa.

Allo stesso tempo, come è noto, la riforma della Legge Fallimentare ha eliminato qualsiasi riferimento alla “meritevolezza” del debitore, con la conseguenza che l’ammissione alla procedura medesima non potrà essere invocata dagli amministratori a sostegno della propria posizione.

Infine, dopo aver ribadito che il vincolo derivante dal concordato preventivo non fa venir meno la qualità di creditore della società del singolo interessato (come si desume dalla previsione dell’ultima parte dell’art 184 L.F.), il Tribunale rileva che l’azione di cui all’art 2394 c.c. ha natura autonoma e non surrogatoria rispetto all’azione prevista dagli artt. 2392 e 2393 c.c. e, pertanto, l’instaurazione della procedura di concordato preventivo non determina la carenza di interesse in capo al singolo creditore, che potrà esperire l’azione di responsabilità non comportando la procedura la perdita della capacità processuale in capo agli organi sociali in favore del Commissario Giudiziale ovvero del Liquidatore.

Buona lettura.

Simone Giugni

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(omissis)

 Fatto e diritto

Con atto di citazione notificato nelle forme dell’ormai abrogato rito societario disciplinato dal DLGS 5 del 2003, la società A.S. s.r.l., corrente in (omissis), dopo aver premesso di operare nel settore agro alimentare dal 1973, esponeva di aver avuto quale cliente la società Be. s.p.a. titolare del marchio “Co.” e “Cond.” E di aver effettuato in suo favore, nell’arco temporale di alcuni mesi, dal gennaio al mese di maggio 2007, ingentissime forniture di carciofo semilavorato, confidando nell’apparente situazione di solidità economica della stesa.

Aveva così eseguito consegne di prodotto per un importo complessivo di euro 1.574.933,78 ricevendo assegni postdatati firmati dall’amministratore delegato dell’acquirente, Pi. A..

Inaspettatamente, una volta messo all’incasso il primo assegno, con scadenza a giugno 2007, aveva, peraltro, scoperto che esso era privo di copertura, tanto da venire protestato e che analoga sorte aveva riguardato anche i successivi.

Attese le emergenze indicate, l’attrice aveva presentato in data 11 luglio 2007 istanza di fallimento della società Be., istanza che, peraltro era stata dichiarata improcedibile, a seguito della sopravvenuta proposta di concordato preventivo presentata dalla debitrice subito dopo, in data 14 luglio 2007.

In data 30 maggio 2008 la società era stata ammessa al beneficio richiesto con il voto contrario dell’attrice, apparendo, a suo avviso, quasi inesistenti le possibilità di un recupero del credito in favore dei creditori chirografari.

Con specifico riguardo alla composizione degli organi amministrativi e di controllo della Be. l’attrice esponeva, quindi, che, fin dalla costruzione di questa società, avevano fatto parte del Consiglio di Amministrazione i soci sottoscrittori tra i quali Pi. A.. In data 22 febbraio 2002, a seguito delle dimissioni dei tre consiglieri in carica, erano stati nominati suoi nuovi componenti sempre A. Pi., P. e N. B..

In data 29 aprile 2002, con delibera dell’assemblea straordinaria della società, contestuale all’aumento di capitale, si erano dimessi tutti i componenti indicati, con nomina di un nuovo consiglio di Amministrazione composto da

M.G., Presidente, da S.D., da A.Pi., da E. P. e da N.B. quali consiglieri.

In data 30 aprile 2003 era intervenuta la trasformazione della società in s.p.a. con conferma del Consiglio di Amministrazione in carica con gli stessi componenti.

In data 16 dicembre 2004, a seguito delle dimissioni del Presidente G., era stato cooptato come nuovo Presidente F.D.L..

In data 19 maggio 2005 era stato deliberato un ulteriore aumento di capitale sociale. Il Consiglio di Amministrazione si era dimesso ed il nuovo c.d.a. era stato limitato a tre membri nella persona di Pi. A., Presidente e socio di maggioranza, di P.E. e di D.S., Consiglio che era rimasto in carica fino alla delibera di liquidazione della società, ad eccezione di P.E. che si era dimesso il 2 gennaio 2007.

Con riguardo, quindi, alla formazione del Collegio Sindacale l’attrice esponeva che l’assemblea sociale della Be., in data 29 aprile 2002, aveva nominato 3 membri nella persona di Ta.Fr. (Presidente), di S.M. e di U.T. e che, in tale composizione, era stato riconfermato anche in occasione della trasformazione della società in spa.

Il Collegio Sindacale aveva, quindi mantenuto la composizione indicata fino al 30 giugno 2005 quando, a seguito delle dimissioni di tutti i componenti, era stato nominato un nuovo Collegio nelle persone di V.A., Presidente, di F.G. e di A.R. sindaci, rimasti in carica da quella data.

Da ultimo la società attrice esponeva che l’assemblea del 21 dicembre 2004, 2005 e 2006 ad altra società di revisione la PKF Italia s.p.a.

Tanto premesso, la società A.S. s.r.l. assumeva che, già con riferimento alla situazione societaria del 2003, sia il Consiglio di Amministrazione nelle sue varie componenti, che il Collegio Sindacale, avevano sistematicamente violato gli obblighi di vigilanza a tutela della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, fino alla data di ammissione della società alla procedura di concordato preventivo. In particolare la debitrice aveva sistematicamente posto in essere l’occultamento delle sue effettive condizioni economiche finanziarie, con distrazione di ingenti somme di denaro in favore degli amministratori e dei direttori generali e con predisposizione di falsa documentazione finalizzata ad ottenere l’accesso al credito bancario, potendosi affermare che, se le sue condizioni economiche fossero state correttamente rappresentante, la società avrebbe dovuto interrompere ogni attività, dato che aveva perso l’intero capitale sociale, a far tempo da epoca ampiamente precedente i rapporto commerciale concluso con l’attrice nel 2007.

La società A.S., pertanto, assumeva, sulla base delle analisi svolte dal Commissario Giudiziale dott. M.D., che sussistevano profili di responsabilità, sia nei confronti di tutti i consiglieri, che avevano fatto parte dei vari Consigli di Amministrazione, sia di tutti i componenti dei Collegi Sindacali nonché nei confronti della società di revisione, avendo ognuno di tali Organi omesso i controlli imposti dalla normativa di riferimento, e quantificava il danno patito nell’importo del quale era

Creditrice ridotto nella misura del 2,06% che, a detta del Commissario giudiziale, poteva integrare la percentuale che la stessa avrebbe potuto ottenere a proprio vantaggio in sede di concordato preventivo.

Nel procedimento così instaurato si costituivano tutti i consiglieri convenuti, tutti i sindaci, nonché la società di revisione PKF Italia s.p.a. i quali, a loro volta, preliminarmente, chiamavano in giudizio le rispettive compagnie di assicurazione articolando domande riconvenzionali improprie in via di regresso nei riguardi di altri convenuti.

In particolare, T.U. chiamava in giudizio la società Assicurazioni G. s.p.a., M.S. chiamava in giudizio la società Au. Assicurazioni s.p.a., V.A., F.G. ed A.R. chiamavano in giudizio rispettivamente la Z.I.C. S.A., R.G.I. e la F. s.p.a.. Ta. Fr. Si costituiva a sua volta senza chiamare in causa altre parti, mentre i consiglieri P.E., B.N. e D.S. chiamavano in causa la compagnia di assicurazione A.E. S.A. R.G.I.; la società di revisione P. s.p.a. chiamavano in causa la società L. of London, che non si costituiva nel giudizio, mentre si costituivano tutte le altre compagnie di assicurazione svolgendo domande riconvenzionali.

I resistenti articolavano contestazioni preliminari, sia in ordine alla carenza di legittimazione dell’attrice, attesa la sottoposizione della società Be. spa a procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, sia in ordine all’improcedibilità delle domande articolate dalla difesa di A.S. e da lei neppure qualificate, sia in ordine alla nullità dell’atto introduttivo per indeterminatezza della domanda e dei fatti allegati, contestando ampiamente nel merito tutte le argomentazioni svolte dalla difesa della creditrice.

Il procedimento proseguiva con scambio tra tutte le parti delle memorie di cui agli artt 6 e 7 DLGS 5 del 2003 e con reiterato deposito di istanze di fissazione di udienza collegiale, ai sensi della previsione dell’art. 8 stesso DLGS, da parte dell’attrice, dichiarate dal Presidente delegato, inammissibili in pendenza dei termini non ancora decorsi per le altre parti per gli scambi delle memorie.

Da ultimo, a seguito di deposito in data 16 luglio 2009 di istanza di fissazione d’udienza collegiale ex art. 12 comma 3 D.LGS 5 del 2003 per il giorno 19 gennaio 2011, ammetteva alcune prove orali, riservava al Collegio ogni decisione sia sull’istanza di c.t.u. contabile formulata dall’attrice, sia in ordine alla richiesta di mutamento di rito societario a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n 71 del 28 marzo 2008.

Nei termini di legge tutte le difese depositavano le memorie conclusionali. All’udienza collegiale il Tribunale, in accoglimento delle richieste di mutamento di rito, con ordinanza emessa in data 21 gennaio 2011, disponeva di conseguenza, ai sensi della previsione cui all’art. 16 comma VI del DLGS e rinviava all’udienza del 24 maggio 2011 innanzi al G.I. per la trattazione ai sensi dell’art. 183 c.p.c. ferme le decadenze già maturate.

Il procedimento proseguiva nelle forme di rito ordinario e, attese le molteplici questioni preliminari di portata eventualmente assorbente svolte dalle difese dei convenuti, il GI, con ordinanza emessa in data 4 aprile 2012, fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 29 luglio 2014 nella quale le parti costituite precisavano le conclusioni. Concessi i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle eventuali repliche, il GI tratteneva la causa per la decisione collegiale.

 

Esame di eccezione di nullità delle domande articolate da parte attrice per violazione della previsione di cui all’art. 163 n 3 e 4 c.p.c.

 

Le difese di alcuni convenuti e di alcuni terzi chiamati hanno eccepito la nullità dell’atto introduttivo del giudizio assumendo che esso sarebbe assolutamente indeterminato con riguardo sia all’oggetto che ai fatti allegati a sostegno della domanda.

Ritiene il Collegio che l’eccezione così articolata debba essere disattesa.

La costante giurisprudenza di Legittimità formatasi in tema ha ribadito che “la nullità della citazione comminata dall’art. 164 quarto comma c.p.c. si produce solo quando l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda prescritta dal numero 4 dell’art. 163 c.p.c. sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, occorrendo tenere conto, sia che l’identificazione della causa petendi della domanda va operata con riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, sia che la nullità della citazione deriva dall’assoluta incertezza delle ragioni della domanda, risiedendo la sua ratio ispiratrice nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese”. (Cass. sez. III, 15 maggio 2013, 11751;).

E, ancora, si è precisato che “in tema di azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, l’atto di citazione deve essere caratterizzato da adeguata determinazione dell’oggetto del giudizio, dovendo esso indicare espressamente tutti gli elementi costitutivi della responsabilità con espresso riferimento alla violazione dei doveri legali e statutari, nel rispetto del disposto dell’art. 163 terzo comma n 3 e 4 c.p.c. Tuttavia, perché sussista la nullità dell’atto di citazione ex art 164 cpc quarto comma, è necessario che tali elementi risultino incerti ed inadeguati a tratteggiare l’azione, in quanto l’incertezza non sia marginale o superabile, ma investa l’intero contenuto dell’atto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto chiari e non equivoci i fatti allegati dalla Curatela fallimentare, sebbene ipotizzati indistintamente in capo a tutti i convenuti, essendo stati specificamente individuati nell’atto di citazione sia i periodi in cui ciascuno aveva ricoperto la carica, sia le condotte individuali o in concorso, ad essi imputate” (Cass. sez. i, 27 dicembre 2013, 28669; Cass. sez I, 12 giugno 2007, 13765; Cass. sez I, 27 ottobre 2006, 23180).

Da ultimo si è evidenziato come la prospettata nullità non possa essere considerata sussistente ogni qual volta, in considerazione della natura dell’oggetto della domanda e della relazione in cui con esso si trovi eventualmente la controparte, tale da consentire comunque, un’agevole individuazione di quanto l’attore richiede e delle ragioni per cui lo fa, il convenuto sia stato posto in grado di approntare una precisa linea di difesa (Cass. sez. I, 12 novembre 2003, 17023;).

All’atto di procedere alla verifica del rispetto dei principi esposti, con specifico riguardo alla domanda articolata dalla difesa di A.S. nei confronti dei convenuti, impregiudicata, ovviamente, la successiva verifica della fondatezza di ogni singola pretesa, si osserva come l’attrice abbia, non solo quantificato secondo propri criteri il danno asseritamente patito, ma abbia anche indicato singole condotte addebitabili ai convenuti, individuando per ciascuno di loro il periodo durante il quale gli amministratori avrebbero ricoperto cariche sociali, ovvero sarebbe stata svolta l’attività di controllo da parte dei sindaci, ovvero ‘attività di revisione contabile da parte della società P.I.

Con specifico riferimento, quindi, ai comportamenti addebitati e ritenuti asseritamente illegittimi la difesa di parte attrice ha allegato e descritto le condotte di occultamento realizzate dagli organi sociali ovvero l’attività di distrazione di somme e prelievi arbitrari eseguiti dal Presidente del C.d.A., o, ancora la predisposizione di false documentazioni per ottenere l’accesso al credito bancario, così come ha prospettato una condotta omissiva degli Organi preposti nei vari periodi al controllo dell’attività sociale, richiamando le singole disposizioni di legge violate.

In tale contesto, al fine di un giudizio formale di nullità dell’atto introduttivo, certamente non rileva qualsivoglia considerazione in ordine al grado di concretezza o di ipoteticità del danno prospettato riguardando esso il merito e la fondatezza della domanda così come attiene sempre al merito la verifica in ordine alla sussistenza o meno del nesso causale e all’assolvimento dell’onere della prova gravante sul creditore danneggiato.

Per completezza si rileva che la stessa corposità e analiticità delle difese articolate da tutte le parti evidenzia, ogni altro dubbio, come esse siano state in grado di comprendere le allegazioni dell’attrice e di svolgere tutte le argomentazioni ritenute rilevanti.

All’esito di tali valutazioni si impone, pertanto il rigetto dell’eccezione indicata così come, per identici motivi, deve essere disattesa analoga eccezione articolata dalla difesa dei sindaci G., R. V. nei confronti dalla difesa di p. di B. e di D. con memoria di replica, nella fase iniziale del giudizio con rito societario, a loro notificata in data 9 febbraio 2009, nonché con riguardo ad analoga domanda di manleva rivolta sempre nei loro confronti dalla difesa di P.I., con comparsa di costituzione notificata in data 9 dicembre 2008.

 

Esame eccezione preliminare di inammissibilità o di improcedibilità dell’azione proposta nei confronti di organi sociali di società in concordato preventivo omologato.

 

Le difese di alcune convenuti (omissis), nonché di terzi chiamati (omissis) hanno preliminarmente eccepito con ampie argomentazioni, l’inammissibilità ovvero l’improcedibilità dell’azione instaurata da parte attrice nei loro confronti, qualificabile ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c., assumendo che la stessa non potrebbe essere articolata nei riguardi di organi sociali che hanno operato per una società, la Be. s.p.a. in liquidazione, sottoposta, a far tempo dalla data del 15 ottobre 2007, alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, omologato con provvedimento del Tribunale di Piacenza in data 22 maggio 2008, ancora in corso di esecuzione.

In particolare, secondo dette difese, osterebbe alla proponibilità dell’azione un duplice ordine di argomenti, elaborati soprattutto a livello dottrinale, in assenza di precedenti giurisprudenziali di Legittimità specifici ovvero di sentenze di merito recenti, ognuno dei quali idoneo a rendere improseguibile il giudizio e tale da poterlo definire con portata assorbente.

Secondo le difese dei resistenti tale valutazione troverebbe, in primo luogo, fondamento nello stesso dettato dell’art. 184, comma 1° L. Fall. In virtù del quale “il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel Registro delle Imprese, del ricorso di cui all’art. 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.”

Atteso l’effetto vincolante della procedura, sia per i creditori consenzienti, che per quelli dissenzienti, e in considerazione dell’effetto esdebitatorio che ne deriva, si dovrebbe ritenere che, qualora si ammettesse che il singolo creditore vincolato dall’accordo concordatario, possa poi azionare un giudizio di contenuto risarcitorio nei riguardi dei singoli amministratori della società, si avrebbe la conseguenza, del tutto ingiustificabile, che, all’esito di una azione eventualmente vittoriosa, venga alterato il principio della par condicio creditorum, con locupletazione di un singolo creditore rispetto alla percentuale di soddisfacimento concordata in sede di procura concorsuale per tutti i creditori in analoghe condizioni.

A miglior chiarificazione di tale assunto le difese hanno evidenziato come la posizione degli amministratori in una società di capitali non possa essere in alcun modo assimilata a quella di coobbliagati ovvero di fideiussori della stessa, in virtù del principio della distinta soggettività giuridica dell’una e degli altri, non residuando spazio di sorta neppure per l’applicazione nel caso di specie della clausola di salvezza della stessa disposizione.

Analoghe conclusioni sono state, quindi, prospettate dalle difese affrontando il tema secondo un differente percorso argomentativo, al di fuori dell’ambito specifico della procedura concorsuale, facendo riferimento alla natura dell’azione di cui all’art 2393 c.c., avendo entrambe le azioni identità di presupposti e di finalità, costituiti dalla tutela e dalla reintegrazione del patrimonio pregiudicato dal cattivo operato degli amministratori, ne conseguirebbe significative implicazioni.

Qualora si ammettesse che tale azione venga instaurata nei confronti degli Organi sociali di una società di concordato preventivo, si verificherebbe l’effetto secondo il quale il vantaggio ottenuto dall’esperimento di essa, consistente nel recupero del patrimonio della società, altererebbe in modo imprescindibile la percentuale concordataria che vincola tutti i creditori precedenti alla medesima procedura, con violazione, nuovamente, della par condicio creditorum, potendosi anche, in alternativa, ipotizzare una mancanza di interesse da parte loro ad un recupero di patrimonio in favore di un soggetto, la società, con la quale si sono peraltro vincolai a non chiedere nessuna eccedenza rispetto all’accordo concordatario.

Ritiene il Collegio, all’esito di una approfondita ponderazione delle articolate argomentazioni svolte con efficacia persuasiva dalle difese convenute, di non poter, comunque giungere alle conclusioni prospettate, anche alla luce del contributo fornito dalla stessa dottrina che, sul punto ha svolto analisi di grande respiro, nonché della giurisprudenza che, sia pure in modo del tutto episodico ma univoco, ha recentemente preso posizione su alcuni temi di rilievo per la presente decisione.

Con riferimento alla vicenda processuale in esame si deve rilevare come indubbiamente la difesa dell’attrice abbia inteso agire con il presente procedimento ai sensi delle previsioni degli artt 2394, 2407 e 2409 sexies c.c. non appena si consideri come essa abbia più volte affermato la circostanza secondo la quale la condotta degli amministratori convenuti avrebbe integrato la violazione degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, fino a rendere impossibile il soddisfacimento delle ragioni di credito della società A.S..

Ciò chiarito, con specifico riferimento alla portata della previsione di cui all’art. 184 L.Fall. non vi è dubbio che tale disposizione sancisce il principio della natura vincolante del concordato preventivo concluso, affermando l’effetto esdebitatorio per i creditori della procedura medesima. In sintesi ogni singolo creditore, indipendentemente dalla circostanza di aver votato a favore di esso ovvero di aver votato contro, non potrà pretendere nei confronti della società sottoposta alla relativa procedura alcuna somma ulteriore, operando il concordato quale sorta di pactum de non petendo di natura privatistica ovvero, secondo alcuni, con una permanente natura anche pubblicistica, con le sole eccezioni ricomprese nella medesima disposizione con riferimento alla posizione dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso.

A fronte di ciò, non pare, peraltro, dubitabile come l’efficacia vincolante indicata, idonea a rendere inesigibile l’originario maggior credito, senza peraltro novarlo, come non è desumibile da alcuna disposizione in tal senso, non possa essere utilmente invocata qualora l’iniziativa assunta dal creditore concordatario si fondi su un differente titolo e sia finalizzata al risarcimento, non possa essere utilmente invocata qualora l’iniziativa assunta dal creditore concordatario si fondi su un differente titolo e sia finalizzata al risarcimento, non già nei riguardi della stessa società in concordato preventivo, ma nei confronti di un soggetto diverso da essa.

Siffatta ipotesi è ben verificabile qualora l’azione risarcitoria sia rivolta nei riguardi del singolo amministratore, che abbia operato per la società dato che, in tal caso l’azione esperita viene, infatti, instaurata tra soggetti differenti rispetto a quelli tra i quali è intervenuto l’accordo concordatario sulla base di fatti di responsabilità del tutto estranei ad esso.

Né pare prospettabile l’assunto secondo il quale, a seguito del concordato, sia venuta meno la qualità di creditore in capo al soggetto che agisca ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c., con conseguente carenza di legittimazione sul punto, dato che il creditore concordatario conserva la sua qualità di creditore al di fuori dell’ambito concorsuale che non estingue il credito originario, come ben si desume dalla previsione dell’ultima parta dell’art. 184 L. Fall. che sancisce il diritto del medesimo di agire, comunque, per l’intero, in quanto creditore, nei riguardi dei coobbligati ovvero dei fideiussori.

Se, dunque, il riferimento alla previsione di cui all’art. 184 L.Fall. non appare dirimente, ritiene il Collegio di dover anche evidenziare come, per una differente conclusione, neppur si possa affermare che l’omologa del concordato escluda iniziative risarcitorie verso gli Organi sociali, implicando tale pronuncia un giudizio di approvazione del loro pregresso operato.

Ed, invero, anche a riguardo, si evidenzia come il giudizio di meritevolezza sia stato espunto dalla riforma fallimentare che richiede il rispetto di adempimenti solo formali, ai sensi della previsione di cui all’art. 180 L.Fall., e in assenza di opposizione, mirando la procedura concorsuale a garantire la prosecuzione dell’attività dell’impresa entro determinati limiti e non già, per così dire, a premiare l’imprenditore onesto ma sfortunato.

Tale valutazione ben emerge anche dalla stessa attuale formulazione della previsione di cui all’art. 173 L.Fall. che, al fine della revoca dell’ammissione alla procedura, richiede il compimento da parte dell’imprenditore di atti dolosi in frode ai creditori, mentre non reputa sufficiente a tal fine il compimento di atti anche solo colposi in violazione delle norme a tutela della conservazione del patrimonio sociale (Cass. sez. I, 26 giugno 2014, 14552;).

Per completezza, sotto altro profilo, non si è mancato di osservare che, presupponendo il concordato preventivo con cessione dei beni, quale è la procedura alla quale è sottoposta la società Be. in liquidazione, che il patrimonio ceduto integri il parametro valutativo ai fini della sua congruità minima garantita dal ceto creditorio, non contrasta con tale procedura l’instaurazione dell’azione indicata.

Il riferimento alla previsione di cui all’art. 184 L.Fall., al fine di dichiarare inammissibile ovvero improcedibile l’azione in esame, non pare conclusivamente, condivisibile, non potendo il concordato preventivo omologato determinare una sorta di immunità per gli Organi sociali, senza che tale valutazione comporti alcuna forzatura della norma stessa.

Le considerazioni esposte non presuppongono una sorta di equiparazione della posizione degli amministratori con quella degli coobbligati che, ai sensi della previsione dell’ultima parte dell’art 184 citato, sono espressamente esclusi dall’effetto esdebitatorio del concordato preventivo, trattandosi di situazioni soggettive francamente non equiparabili ma traggono fondamento in un percorso valutativo del tutto autonomo.

Passando, quindi, all’esame delle ulteriori articolate argomentazioni svolte dalle difese dei resistenti, con specifico riferimento alla natura alla natura dell’azione proposta ex art. 2394 c.c., ritiene che il Collegio che neppure esse possano essere condivise.

Proprio con riferimento a tale tema, a sostegno della natura autonoma extracontrattuale e non surrogatoria dell’azione in questione appare significativa e dirimente la giurisprudenza della Corte di Legittimità la quale ha, anche in epoca recente, ribadito l’assoluta autonomia esistente tra la disposizione di cui all’art. 2394 c.c. e quella di cui all’art. 2393 c.c. e ha escluso la natura surrogatoria della prima rispetto alla seconda.

In particolare, la Corte ha ribadito come integri addirittura una domanda nuova inammissibile, qualora proposta in corso di causa, la richiesta di risarcimento formulata, oltre che ai sensi della previsione di cui all’ert. 2393 c.c. anche ai sensi dell’art. 2394 c.c. “in considerazione della diversità delle due azioni di responsabilità, l’una regolata dall’art 2393 c.c. di natura contrattuale, fondata sull’inadempimento dei doveri imposti agli organi sociali della legge o dall’atto costitutivo, l’altra disciplinata dell’art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale, priva di carattere surrogatorio e dotata di un autonomo regime giuridico dell’onere della prova e della prescrizione” (Cass. sez. I, 12 giugno 2007, 13765).

La decisione citata ha, in motivazione, evidenziato che “l’affermazione frequente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le due azioni di responsabilità rispettivamente previste dagli artt 2393 e 2394 c.c. quando sopravvenga il fallimento della società e siano congiuntamente esercitate dal Curatore a norma dell’art. 146 L. Fall. costituiscono un’azione unica ed inscindibile, sta solo a significare che il medesimo curatore non potrebbe pretendere di esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita, cui dette azioni concorrono, e significa che l’eventuale mancata specificazione del titolo per il quale il curatore agisce fa presumere che egli abbia inteso esercitare congiuntamente entrambi tali azioni. Quella espressione non può essere, invece, intesa nel senso nella indifferenziazione delle domande proposte dall’organo della procedura ai sensi dell’art. 2393 o dell’art. 2394. Domande che, pur se ormai accomunate dalla comune legittimazione, continuano ad avere presupposti diversi, il danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, nell’uno caso, l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza do obblighi di conservazione del patrimonio solo per quel che riguarda l’onere della prova, ove si tenga fermo che l’azione di responsabilità dei creditori sociali non ha carattere surrogatorio bensì diretto ed aquiliano, ma anche con riferimento ai termini di prescrizione ed alla loro decorrenza. Non altrimenti si spiegherebbe la pacifica possibilità che, anche in ambito concorsuale, un’azione risulti prescritta e l’altra possa ancora essere utilmente esercitata” (in termini anche Cass. sez. I, 22 ottobre 1998, 10488;).

Ed, invero, ad avviso del Collegio, la natura autonoma dell’azione proposta ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c. rispetto a quella proposta dalla società, ex art 2393 c.c., trova sostegno argomentativo in ulteriori elementi. Occorre considerare come la prima non preveda, in alcun modo, quale suo presupposto, una situazione di inerzia da parte della società, come la disposizione generale di cui all’art 2900 c.c. richiede e non appena si tenga, inoltre, presente come sia nel nostro ordinamento del tutto eccezionale l’ipotesi di una sostituzione processuale ex art 81 c.p.c. norma non applicabile analogicamente.

Oltre a ciò la stessa dizione dell’art 2394 ultimo comma c.c. pare ulteriormente sorreggere tale valutazione nella parte in cui si prescrive che “la rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.

Da tale formulazione emerge, infatti, l’autonomia delle due azioni, non potendosi riverberare la rinuncia di quella ex art 2393 c.c. sull’azione proposta ex art 2394. c.c.. La stessa circostanza secondo la quale la transazione, che definisca l’azione sociale, possa essere impugnata dai creditori sociali solo con lo strumento della revocatoria, essendo altrimenti vincolante anche per il creditore che agisca ex art 2394 c.c., porta argomenti a sostegno dell’autonomia dell’una rispetto all’altra, dal momento che evidenzia come la transazione presupponga che, tramite essa, sia stato reintegrato il patrimonio sociale, così soddisfacendo anche le ragioni dei creditori, potendo, al contrario, essi impugnarla con l’azione revocatoria solo qualora la transazione, conclusa dalla società, abbia comunque pregiudicato, le loro ragioni di credito appunto tutelabili con la tutela indicata.

Ed, ancora, se si dovesse ravvisare  una sostanziale identità tra le due azioni, neppur si comprenderebbe per quale ragione l’art. 146 L. Fall. richiami entrambe, né, per quale ragione, la disposizione di cui all’art 2941 n 7 c.c., che disciplina la sospensione della prescrizione nell’azione di responsabilità sociale, non trovi applicazione in caso di azione proposta ex art 2394 c.c.. Per completezza occorre ancora considerare come la prescrizione quinquennale dell’azione in esame pacificamente decorra dal momento in cui è divenuto obiettivamente conoscibile il dato concernente l’insufficienza del patrimonio sociale, ipotesi nella quale il danno subito dai creditori costituisce la misura del loro interesse ad agire, mentre con riguardo all’azione proposta ai sensi della previsione di cui all’art 2393 c.c., la prescrizione decorre dalla data del fatto dannoso degli amministratori con operatività della sospensione prevista dall’art 2941 n 7 c.c. in ragione del rapporto fiduciario intercorrente tra l’ente ed il suo organo gestorio (Cass. sez. I, 21 giugno 2012, 10378;).

Una volta accertata la natura autonoma dell’azione proposta ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c. consegue come vantaggio che, all’esito della stessa, potrà eventualmente ottenere il creditore non consista semplicemente in un incremento del patrimonio della società, ma in un ristoro diretto per il patrimonio del medesimo creditore, come si desume dalla stessa rubrica dell’art 2394 c.c..

Tale dato appare ai presenti fini significativo. Esclusa qualsivoglia natura surrogatoria dell’azione di responsabilità dei creditori sociali rispetto all’azione sociale di cui all’art 2393 c.c., ne consegue che l’eventuale esito favorevole per il creditore della stessa non potrà comportare un’alterazione della par condicio creditorum dal momento che tale principio attiene alla violazione del riparto dei crediti vantati dai creditori nei confronti della società e non già, come avviene nel caso in esame, al soddisfacimento del singolo creditore per un danno subito ad opera di un soggetto diverso dalla società debitrice, quale è l’amministratore che, tra l’altro, non potrà successivamente neppure agire in via di regresso nei confronti della società da lui amministrata.

All’esito di tutte le valutazioni esposte, pare utile evidenziare come, sia pure in tale maniera solo incidentale ed episodica, già altra giurisprudenza di merito, anche recente, abbia statuito e abbia raggiunto analoghe conclusioni affermando la piena compatibilità ed ammissibilità dell’azione in contestazione nei riguardi di amministratori di società in concordato preventivo (Corte Appello Brescia, 14 maggio 2014, in motivazione; Tribunale Napoli, ordinanza cautelare 5 luglio 2013 pag 6 in wwwilcaso.it; Tribunale Napoli, ordinanza cautelare 5 luglio 2013; Tribunale di Vicenza, ordinanza cautelare 26 luglio 2010 in altalex; Tribunale Bologna, 8 agosto 2002; Tribunale Torino, 28 maggio 1997; Corte d’Appello Milano, 14 gennaio 1992; Tribunale Reggio Emilia, 19 giugno 1979;).

 

Esame di eccezione di carenza di legittimazione attiva del singolo creditore.

Le difese dei convenuti e dei terzi chiamati hanno prospettato, in via ulteriormente gradata, l’assoluta carenza di legittimazione attiva del singolo creditore che intenda agire ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c.

In particolare, poiché l’art. bis c.c. prevede che “in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario” ne conseguirebbe, a loro avviso, che, nell’ipotesi di concordato preventivo, trattandosi di procedura concorsuale, l’azione di cui all’art 2394 c.c. dovrebbe essere eventualmente esercitata dal liquidatore ovvero dal Commissario giudiziale ma mai dal singolo creditore.

L’argomentazione indicata non può essere condivisa.

Secondo la costante giurisprudenza di Legittimità “in tema di concordato preventivo con cessione dei beni, il giudizio promosso dal debitore per la riscossione di un proprio credito prima dell’ammissione alla procedura e proseguito dopo l’omologazione, non richiede l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Commissario liquidatore dei beni nominato dal tribunale non determinandosi in capo agli Organi della procedura il trasferimento della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma esclusivamente dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore conserva il diritto di esercitare in proprio le azioni e resistervi nei confronti dei terzi a tutela del suo patrimonio” (Cass. sez. I, 12 maggio 2010, 11520;).

Ed, ancora, si è affermato che “l’avviso di accertamento tributario emesso nei confornti di società ammessa al concordato preventivo con cessione dei beni deve essere notificato al rappresentante legale e non al commissario liquidatore, atteso che il debitore concordatario è l’unico legittimato passivo in ordine alla verifica dei crediti dopo l’omologazione del concordato, sussistendo la legittimazione del liquidatore solo nei giudizi di rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione” (Cass. sez. V, 10 giugno 2009, 13340; Cass. sez. trib. 5 settembre 2014 n 18755;).

Dalla giurisprudenza richiamata, ben emerge come, a differenza di quanto avviene nella altre procedure concorsuali, nell’ipotesi di concordato preventivo l’imprenditore ovvero la società d esso sottoposta non subisca la perdita della capacità processuale e della legittimazione passiva ovvero di quella attiva, svolgendo sia il liquidatore che il commissario compiti e funzioni differenti, non assumendo essi di regola la rappresentanza processuale della società che resta in capo al debitore medesimo.

Oltre a ciò si rileva come l’azione in esame, per tutte le argomentazioni in precedenza svolte, non incida sul riparto concordatario né, tanto meno, sulle operazioni liquidatorie, riguardando soggetti differenti ed un oggetto distinto ad ulteriore conferma dell’estraneità di essa rispetto alle singole vicende concordatarie.

Consegue a tale ricostruzione come l’omissione contenuta nella previsione di cui all’art 2394 bis c.c. non possa essere considerata casuale né, tanto meno, possa giustificare una sua applicazione analogica, non avendo la norma disciplinato la fattispecie ravvisabile in caso di concordato preventivo proprio in quanto esso non presenta caratteri comuni con le altre procedure concorsuali con specifico riferimento alla perdita della capacità processuale e della legittimazione attiva o passiva dell’imprenditore, ovvero con riguardo alla necessità che il promuovimento di ogni singola iniziativa sia assunta da un Organo della stessa procedura che agisca in nome e per contro dei creditori, tanto più ove si ribadisca come l’azione in esame non sia per le caratteristiche esaminate un’azione di massa.

Sul punto sono quasi tutti tra di loro conformi gli scarsi precedenti di merito formatisi in tema i quali, infatti hanno prevalentemente opinato, una volta ammessa la compatibilità dell’azione ex art 2394 c.c. con la sottoposizione della società alla procedura di concordato preventivo, a favore della legittimazione attiva del singolo creditore e non già del liquidatore ovvero del Commissario giudiziale (in termini Tribunale di Napoli, ordinanza 5 luglio 2013; Tribunale Milano, 19 luglio 2011 che ha espressamente negato qualsivoglia legittimazione attiva al liquidatore di società in concordato preventivo in considerazione della sua funzione di mero mandatario per la liquidazione dei beni oggetto della cessione, nonché del contenuto dell’art 2394 bis c.c.; >Tribunale Bologna, 8 agosto 2002; contra Tribunale di Roma, 20 gennaio 1996 favorevole all’azione promossa da un liquidatore ad acta;).

All’esito delle valutazioni esposte ritiene, pertanto, conclusivamente, il Collegio di dover respingere anche l’eccezione di carenza di legittimazione attiva articolata dalle difese dei convenuti e dei terzi chiamati rilevando come la pronuncia citata da alcune difese dei resistenti, non sia ai presenti fini dirimente essendo stata emessa la relativa decisione (Cass. n 4309 del 2010) in tema di procedura di liquidazione coatta amministrativa come ben emerge dalla lettura della parte motiva della stessa pronuncia.

 

Proseguimento del giudizio Concessioni termini istruttori

 

Il Collegio, all’udienza di discussione nelle forme del rito societario del giorno 21 gennaio 2011, in accoglimento alla richiesta di mutamento del rito formulata dalle difese dei convenuti ha, con ordinanza, disposto in conformità, a seguito dell’intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza n 71 del 28 marzo 2008, ha dichiarato incostituzionale per eccesso di delega l’art 1 comma 1 DLGS 5/2003 e, ai sensi della previsione di cui all’art 16 sesto comma DLGS 5/2003, ha rimesso tutte le parti innanzi al G.I. per l’udienza del giorno 24 maggio 2011 “ferme le decadenze già maturate”, intendendo per udienza di trattazione quella di cui all’art 183 c.p.c.

A tale udienza, tenuta dal G.o.t. e, quindi, alle successive dei giorni 20 settembre 2011 e 20 dicembre 2011, tenute dal G.I., tutte le parti hanno ampiamente dedotto con specifico riferimento alla necessità o meno che il G.I., nell’ambito del giudizio che proseguiva con rito ordinario, dovesse provvedere direttamente all’ammissione o meno dei mezzi istruttori articolati nel vigore del rito societario ovvero dovesse concedere i termini di cui all’art 183 c.p.c. attesa la portata non univoca del riferimento contenuto nell’art 16 DLGS del 2003 all’espressione “ferme le decadenza giaà maturate”.

In particolare, a detta di alcune difese, tale dizione farebbe riferimento alle decadenze già maturate secondo le scansioni temporali del rito societario, con la conseguenza che nel giudizio che prosegue non potrebbero essere concessi nuovi termini istruttori, in violazione della previsione di cui all’art. 10, comma 2 DLGS del 2003, secondo altre, invece, le decadenze maturate sarebbero solo quelle determinate dalla fase nella quale il giudizio si viene a trovare una volta mutato nel rito ordinario e, pertanto, avendo il Collegio rimesso le parti innanzi al G.I. per l’udienza di trattazione sarebbero quelli inerenti solo alla proposizione di nuove domande o di nuove eccezioni.

Ritiene il Collegio che sul punto sia sufficiente richiamare quanto già valutato, sia pure in modo sintetico, con l’ordinanza emessa in data 21 gennaio 2011 che aveva disposto il mutamento di rito.

Secondo una lettura costituzionalmente orientata della disposizione dell’art 16  DLGS n5 del 2003 e in considerazione della formulazione della norma che ha affermato che restano ferme le decadenze già maturate dopo aver prescritto che l’udienza fissata davanti all’istruttore è quella di trattazione, si deve ritenere che la valutazione da effettuare sul punto sia con riguardo alle decadenze inerenti al rito nel quale prosegue il giudizio che deve essere celebrato nel rispetto delle regole proprie di esso, avendo il Legislatore già valutato a partire da quella fase temporale debba intervenire la prosecuzione (in termini Tribunale di Catania, ord. 2 febbraio 2005; Tribunale di Milano, ord. Sez. VII, 11 novembre 2007 n 82005; Tribunale di Milano, Sez VI, novembre 2008;).

Nel caso di specie la valutazione indicata appare ancor più giustificata non appena si consideri come il mutamento di rito sia dipeso da un intervento non prevedibile della Corte Costituzionale e non già da un ipotetico errore dell’attore nella scelta del rito da applicare. Se, dunque, l’udienza celebrata innanzi al G.I. è quella di prima trattazione nella quale, si ripete, alcune difese hanno chiesto la concessione dei termini di cui all’art. 183 comma VI c.p.c. con riguardo ai quali il G.I. non ha emesso statuizione di sorta, avendo ritenuto opportuno rimettere subito le parti innanzi al Collegio per la decisione delle molteplici questioni preliminari da esse sollevate, ulteriore questione sottoposta all’Esame del collegio è quella che attiene al proseguimento del giudizio per il merito una volta respinte tutte le questione indicate.

Sul punto ritiene il Tribunale che, una volta richiesti anche da solo da una parte processuale i termini di cui all’art 183 comma VI c.p.c., non sia possibile negare la loro concessione procedendo ad una valutazione discrezionale sul punto.

Come valutato sia dalla maggior parte della dottrina che ha approfondito il tema, nonché dalla giurisprudenza di Legittimità formatasi sotto il vigore della L n 534 del 1995 (da ultimo Cass. sez. VI-3 ordinanza 19 giugno 2014, 13946;), nonché dalla giurisprudenza di merito che sul punto si è pronunciato in modo del tutto episodico (Tribunale di Torino, sez. III, 2 novembre 2011 in Iurisdata 2011; Tribunale di Torino, ord. 19 novembre 2008, n 199992/07;) la concessione dei termini indicati non appare discrezionale per il Giudice ma obbligata, non potendo altrimenti questi formulare alcuna valutazione in ordine, in ipotesi, alla intervenuta maturazione della causa, se non all’esito delle prove dedotte dalle parti medesime.

Al termine delle valutazioni esposte si impone, pertanto la necessità, per consentire  il rispetto del contraddittorio tra tutte le parti, della rimessione della causa per il proseguimento del giudizio di merito, innanzi al G.I. come richiesto, come da separata ordinanza collegiale essendo stata rimessa al Collegio la decisione ai sensi della previsione di cui all’art 187 comma 2 e 3 c.p.c. per decidere esclusivamente le questioni preliminari in precedenza esaminate.

Attesa la natura non definitiva della sentenza si riserva all’esito del giudizio di merito ogni determinazione in ordine alla liquidazione delle spese processuale.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE DI PIACENZA non definitivamente pronunciando così provvede:

RIGETTA

Le eccezione di nullità degli atti introduttivi, di improcedibilità, di inammissibilità e di carenza di legittimazione attiva della società A.S. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore sollevate dalle difese di omissis

DISPONE

La rimessione del giudizio innanzi al G.I. come da separata ordinanza;

RISERVA

all’esito ogni decisione sulla liquidazione delle spese processuali;

 

Così deciso in Piacenza, nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2015

Il Presidente relatore

dott.ssa Gabriella Schiaffino

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2015

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