Trib. Pisa 20.11.2014 (sulle azioni di responsabilità nel fallimento)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza resa dal Tribunale di Pisa in data 20.11.2014.

La stessa riporta, a mio avviso, un’attenta analisi di quasi tutte le problematiche connesse all’esercizio delle azioni di responsabilità da parte del Curatore Fallimentare.

Sintetizzando l’ampia motivazione, nel provvedimento si esaminano infatti approfonditamente:

  • in rito, i requisiti del provvedimento di autorizzazione del Giudice Delegato e l’irrilevanza del parere del Comitato dei Creditori;
  • sempre in rito, l’ampiezza dei poteri del Curatore nell’esercizio delle azioni di responsabilità;
  • nel merito, la condotta dell’organo gestorio ed i profili sanzionatori;
  • sempre nel merito, la quantificazione del danno risarcibile.

Ritengo, pertanto, che la sentenza pubblicata possa fungere da “vademecum” per chi intenda cimentarsi con le future azioni di responsabilità.

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI PISA

SEZIONE CIVILE

In composizione collegiale, in persona dei magistrati:

dott.ssa Maria Sammarco                  Presidente

dott.ssa Milena Balsamo                     Giudice

dott. Marco Viani                                 Giudice relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2481/11 r.g.

promossa da

FALLIMENTO DELLA A. S.R.L., in persona del curatore con domicilio eletto a Pisa via omissis presso lo studio dell’Avv.                      che la rappresenta e difende per procura in calce all’atto di citazione, autorizzato dal giudice delegato con decreto del giudice delegato in data 30.12.2010 attore

contro

P.B.,  con domicilio eletto a Pisa via omissis presso lo studio dell’avv.                  , rappresentata e difesa dall’avv.                      del Foro di Firenze per procura a margine della comparsa di risposta convenuta

CONCLUSIONI DELLE PARTI

PER IL FALLIMENTO: “Voglia l’ecc.mo Tribunale di Pisa, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: a)  accertare e dichiarare, per le causali tutte esposte in narrativa, la signora B.P., nella sua qualità di amministratore unico della A. S.r.l., responsabile ex art. 247 c.c., e/o art. 2043 c.c. e/o artt. 2390 e 2391 c.c. e/o artt. 2485 e 2486 c.c. degli atti di mala gestio, della violazione dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale, degli atti di distrazione del patrimonio sociale, dell’omessa ed irregolare tenuta della contabilità sociale, delle operazioni in conflitto di interessi e di ogni altra violazione descritta in premessa, con ogni consequenziale pronuncia; b) per l’effetto, condannare la signora B.P. al risarcimento dei danni tutti patiti dalla A. S.r.l., dai soci della medesima e dai creditori sociali, danni che si quantificano nella misura di euro 715.432,23 per le causali di cui in narrativa, come accertata in corso di causa e/o determinata, anche in via equitativa, dall’ecc.mo Tribunale Adito, il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; c) in ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio”.

PER LA B.: “L’ill.mo Tribunale di Pisa voglia, contrariis reiectis: in via preliminare dichiarare l’improcedibilità e/o inammissibilità in tutto o in parte delle domande proposte dalla curatela fallimentare per le ragioni di cui in narrativa; nel merito respingere, perché infondate sia in fatto che in diritto, le pretese avversarie per le ragioni sopra dedotte. Vittoria di spese, diritti ed onorari”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Curatore del Fallimento della A. S.r.l. (società costituita nel gennaio 2004 per operare nel settore della conduzione di cave, fallita  il 13.4.2010 su istanza dell’amministratore unico dott. Giuseppe M. nominato dapprima curatore speciale dopo la revoca dell’amministratore P.B. avvenuta con decreto del Tribunale di Pisa depositato il 18.12.2008 e poi nominato amministratore dell’assemblea) ha esposto in atto di citazione:

- nel maggio 2008 la cava “P. di R.”, oggetto principale dell’attività della società, era stata venduta e da tale momento la società non aveva praticamente più esercitato alcuna attività

- dopo l’incasso del prezzo la B. aveva prelevato in contanti o in assegni circolari la somma di euro 268.158,15 senza alcuna giustificazione

- secondo le risultanze del PRA del 2009 erano stati venduti due furgoni e un’autovettura ma non risultava alcuna fattura né alcun incasso di corrispettivi; l’autovettura, inoltre, era stata venduta a G.S., dipendente della società, e nominato, nel novembre 2009, trustee di un trust costituito dalla B. e dai soci A.G. e A.E., mentre i furgoni erano stati venduti alla C.E.M. S.r.l. di cui S. era socio unico mentre C. e M. A. (marito e figlio della B.) ne erano presidente e vicepresidente

- il contratto di leasing stipulato dalla A. su un autocarro era stato ceduto gratuitamente al trust, peraltro con atto firmato dalla B. il 7.5.2010, quando non rivestiva più la carica di amministratore

- tre fatture per complessivi euro 173.790,00 emesse alla P. S.r.l. (i cui soci erano C. e M. A. e la Società Fiduciaria Toscana di cui era amministratrice la B.) risultavano pagate ma con modalità indimostrate e comunque inopponibili al fallimento.

- al Fornitore Pneumatici Cionini S.n.c. risultavano effettuati pagamenti in contanti per più di 30.000 euro e vi era traccia di un pagamento in assegni circolari per euro 51.800,00, e nella contabilità vi era un ulteriore debito nei confronti di tale società per euro 85.136,53; le fatture si riferiscono peraltro a un periodo in cui l’attività sociale era cessata e inoltre l’acquisto di pneumatici per escavatori era operazione incompatibile con l’attività stessa

- l’unico bene rimasto nel patrimonio sociale, un terreno agricolo in C., risultava affittato a prezzo irrisorio – peraltro con contratti non opponibili al fallimento – a G.A.

- nell’ultimo periodo di attività la B. non aveva tenuto alcuna contabilità, mentre i partitari erano aperti dal 31.12.2008 e ne risultavano crediti per euro 293.321,49 tutti risultanti da esercizi precedenti e senza riscontri documentali

- il totale dei debiti risultanti dalla contabilità era di euro 287.574,82, ma molti fornitori avevano negato di avere crediti da incassare

- i bilanci presentavano numerose anomalie e riferimenti incompleti.

Il Curatore, pertanto, ha imputato alla B.:

a) omesso accertamento dell’avvenuta causa di scioglimento della società e omessa adozione dei provvedimenti conseguenti: dopo la vendita della cava l’oggetto sociale era divenuto impossibile, ma l B. non aveva adottato alcun provvedimento per far constatare lo scioglimento della società

b) omessa adozione dei provvedimenti conseguenti alla perdita del capitale: in un momento anteriore all’assunzione della carica da ‘parte del dott. M. il capitale sociale era integralmente perduto, ma la B. non aveva adottato alcun provvedimento conseguente

c) compimento di operazioni in conflitto di interessi: in particolare, si trattava della vendita degli automezzi, della cessione del leasing, del noleggio di due scavatori e di due camion (mai rinvenuti) alla P&P, dell’affitto del terreno

d) omessa o irregolare tenuta della contabilità: il dott. M. aveva rinvenuto solamente i libri sino al 2008, e la contabilità presentava inoltre le anomalie sopra richiamate

e) cessione della cava senza autorizzazione e senza adeguato corrispettivo

f) prelievi non giustificati. Si trattava dei prelievi sopra richiamati

g) cessione di mezzi senza corrispettivo: si trattava della cessione dei mezzi al S. e alla CEM, della cessione del leasing, del noleggio degli scavatori e dei camion

h) distrazione di somme di denaro: si trattava dei pagamenti a Pneumatici C. e al dichiarato pagamento delle fatture della P.

i) mancato pagamento di tributi e contributi per euro 126.812,00.

Ha pertanto chiesto il risarcimento del danno, quantificandolo, in atto di citazione, in euro 504.759,25 (differenza tra attivo e passivo fallimentare) o la maggior o minor somma che fosse risultata in causa.

La B. si è costituita resistendo integralmente alla domanda e ha eccepito l’assenza di autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell’art. 146 l. fall.. Ha poi eccepito che il Curatore stava esercitando congiuntamente sia l’azione sociale di responsabilità, sia quella spettante ai soci uti singuli, sia quella spettante ai creditori, ma che in relazione alle ultime due non era legittimato a farlo. In particolare, dopo la riforma del 2003, nessuna disposizione prevedeva, nella s.r.l., una responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali. Nel merito, osservava:

- la vendita della cava non aveva precluso l’espletamento delle altre attività ricomprese nell’oggetto sociale e quindi non aveva comportato lo scioglimento della società

- il Curatore non aveva chiarito quando il capitale si sarebbe azzerato, e anzi dava atto che secondo il dott. M., curatore speciale dal 27.1.2009 e amministratore unico dal 24.3.2009, la rilevanza dei debiti rispetto all’attivo sarebbe emersa nel novembre 2009; in ogni caso il dott. M. non aveva mai provveduto a redigere e sottoporre all’assemblea il bilancio al 31.12.2008, sicché lo scioglimento della società si era semmai avuto per inattività dell’assemblea e i provvedimenti di cui all’art. 2484 c.c. si sarebbero dovuti assumere da parte del dott. M- e non dalla convenuta

- era infondata la pretesa di quantificare il danno nella differenza tra l’attivo e passivo fallimentare, perché il pregiudizio doveva essere determinato in modo rigoroso

- ammesso per assurdo lo scioglimento, la vendita di veicoli non costituiva attività né il Curatore precisava quale danno ne era conseguito

- il conflitto di interessi tra amministratore unico e società (regolato dall’art. 1394 c.c. e non dall’art. 2391 c.c.) presupponeva un rapporto di incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle del rappresentante, ma gli atti indicati dal Curatore non soddisfacevano un interesse personale della convenuta né hanno consentito a terzi di conseguire utili che fossero conseguenza immediata e diretta di un sacrificio della società

- non poteva individuarsi un danno ingiusto della società in relazione a operazioni che il Curatore contemporaneamente definiva inopponibili o inefficaci

- in ogni caso, anche in relazione a tali operazioni rilevava solamente un danno concretamente individuato

- i bilanci erano stati redatti sempre in modo conforme alle regole e le incongruenze segnalate erano inconsistenti

- anche in relazione a tale addebito rilevava solamente un danno concretamente individuato

- la vendita della cava era avvenuta a prezzo congruo

- i prelievi erano stati utilizzati per pagare i creditori sociali

- gli automezzi non erano stati ceduti senza corrispettivo

- in relazione al pagamento del creditore C. il Curatore non era legittimato a esperire alcuna azione, in quanto non era configurabile un danno da pagamento preferenziale, ma a tutto concedere, un’azione dei singoli creditori

- il pagamento delle fatture P. non poteva essere fonte di danno, se non era contestato il titolo

- l’affitto non aveva valenza distruttiva e comunque il canone era congruo

- il mancato pagamento dei tributi non era ascrivibile alla B.

Il giudice ha fissato, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., un termine per il deposito dell’autorizzazione del giudice delegato.

All’esito del deposito, la B. ha ulteriormente eccepito che l’autorizzazione era generica (non specificando quale delle azioni di responsabilità era autorizzata) e comunque era stata resa senza acquisire il parere del Comitato dei creditori, obbligatorio ai sensi dell’art. 146 l. fall..

Il giudice ha disposto consulenza tecnica.

Nel corso delle operazioni peritali, la sig.ra B. ha chiesto di essere rimessa in termini per il deposito di ulteriore documentazione contabile, asseritamente a lei restituita solamente in quel momento dal commercialista della società.

Il giudice istruttore ha disatteso l’istanza, osservando che la parte doveva imputare a se stessa di non aver ottenuto, anche se necessario con un’azione legale, la documentazione, o, al limite, di non averne chiesto l’esibizione nel presente giudizio.

Il consulente ha riferito:

- dall’analisi del bilancio d’esercizio 2006 – non approvato, e tuttavia depositato presso il Registro delle Imprese – emerge una rilevante contrazione del patrimonio netto, che passa da euro 338.978,00 al 31.12.2005 a euro (153,00);

- tale azzeramento trova solo parziale giustificazione nelle perdite degli esercizi 2004, 2005 e 2006, e discende invece dall’avvenuto integrale utilizzo della voce 2004, 2005 e 2006, e discende invece dall’avvenuto integrale utilizzo della voce “altre riserve” esposta in euro 255.905,00 (di cui non è possibile comprendere la esatta natura perché non distintamente indicate), utilizzo le cui modalità non sono evidenziate nella nota integrativa, che, inoltre, espone un valore di tali riserve pari a euro 310.904,00, diverso da quello a bilancio (e peraltro non verificabile, anche perché la nota integrativa è molto carente e addirittura sembrerebbe copiata da un modello standard senza adattamenti alla effettiva realtà della società);

- non è stato possibile ricostruire l’utilizzo delle riserve neppure sulla base del libro giornale, che non riporta al 1.1.2006 i saldi di riapertura delle poste dello stato patrimoniale e contiene svariate operazioni contabili di dubbia natura e correttezza;

- l’amministratore, quindi, anziché utilizzare le riserve per coprire le perdite pregresse, le ha utilizzate impropriamente per altri fini, consentendo così alle perdite di intaccare il capitale sociale;

al 31.12.2006, quindi, operate le conseguenti riclassificazioni, la perdita di esercizio aveva superato 1/3 del capitale sociale e quest’ultimo si era ridotto al di sotto del minimo legale: si era quindi verificata la causa di scioglimento di cui all’art. 2484 comma 1 c.c., senza che l’amministratore risulti averla accertata e aver provveduto agli adempimenti conseguenti e anzi continuando l’attività sociale;

- per le carenze sopra evidenziate, il bilancio 2006 non è redatto secondo il principio di chiarezza e non rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio;

- ulteriore motivo di inattendibilità della contabilità è dato dal fatto che il totale delle perdite del 2006 ammonta a euro 100.153,00, e così risulta dal bilancio depositato, mentre in sede di apertura dei conti patrimoniali al 1.1.2007 viene indicata senza motivo la diversa cifra di euro 102.113,05;

- sono del tutto condivisibili, e il CTU li fa propri, i rilievi mossi alla sig.ra B. dal dott. M., e attinenti a creazione di posizioni debitorie e creditorie di dubbia natura ed esistenza, movimentazioni non giustificate dal conto “soci c/vers. Per finanziamenti infruttiferi”, pagamenti in eccesso di debiti verso fornitori, uscite di denaro dai conti bancari o dalla cassa senza alcun supporto documentale;

- dalla contabilità del 2008, anno in cui la sig.ra B., pur in presenza della non rilevata causa di scioglimento, ha ceduto la cava per il prezzo di euro 1.250.000,00 senza  che risulti acquisita alcuna perizia di stima circa la congruità del prezzo, emergono fatti di rilevante gravità quali prelevamenti di ingenti somme di denaro effettuate dall’amministratore unico senza alcuna giustificazione, pagamento di fornitori non rilevati in contabilità o per importi che non trovano corrispondenza con i dati contabili, pagamento di fatture intestate ad altre società, imputazione di costi per il personale sulla base di semplici annotazioni e in mancanza della documentazione prescritta dalla legge, per cui è arduo ricostruire l’attività sociale e la contabilità stessa deve ritenersi totalmente inattendibile;

- in effetti, tutte le operazioni relative all’esercizio 2008 non supportate da documentazione giustificativa sono state apposte dal dott. M. dopo il subentro, nei soli conti patrimoniali e senza transito dal conto economico, determinando così un risultato positivo per il 2008 che è di fatto fittizio, visto che, se vi fossero stati i giustificativi contabili di tali operazioni, esse sarebbero state inserite come costi nel conto economico e avrebbero determinato una perdita e non un utile;

- appare ampiamente verosimile, in merito alle richiamate operazioni non giustificate, che si tratti di sottrazione di attivo patrimoniale da parte della sig.ra B.;

- analoghe considerazioni valgono per l’esercizio 2007, in cui sono state rilevate poste attive di dubbia natura e derivazione e prive di giustificazione, quali quelle relative ai conti “crediti vari v/ fornitori” per euro 210.470,97, “riscontri attivi” inerenti imposte e tasse comunali per euro 60.000,00 (storno del tutto ingiustificato in termini contabili perché i tributi risultano deducibili per cassa e non per competenza), “clienti e fatture da emettere” per euro 45.000,00; voci che, non comparendo nel conto economico dell’esercizio successivo, sono con presumibile certezza fittizie;

- pertanto, anche la contabilità del 2007 è di fatto inattendibile e l’utile che risulta dal bilancio di tale esercizio (euro 28.104,00) è inesistente, in quanto, se vi fossero stati i giustificativi, alcune voci avrebbero rappresentato ulteriori costi da inserire nel conto economico e avrebbero determinato una perdita e non un utile: al massimo, detti costi si sarebbero potuti appostare nel conto economico del 2008 quali sopravvenienze passive, così rinviando soltanto la perdita nel tempo;

- in ogni caso, la voce “clienti e fatture da emettere”, del tutto priva di giustificazione, doveva essere annullata;

- in particolare, secondo le rettifiche operate, l’esercizio del 2007, anziché con un utile di euro 28.104,00, si era chiuso con una perdita di 242.366,00, e quello del 2008, anziché co un utile di euro 69.156,00 con una perdita di euro 264.423,00;

- il patrimonio netto alla data del fallimento, quindi, doveva intendersi negativo per euro 506.942,00, con la precisazione che il dott. M. non ha posto in essere alcuna operazione e che il dato è verosimilmente approssimato per difetto, in conseguenza della mancanza di documentazione,

- il danno conseguente alla mancata adozione dei provvedimenti conseguenti al verificarsi, nell’esercizio 2006, di una causa di scioglimento poteva quantificarsi in euro 690.575,08 così dettagliati:

euro 210.470,97 per il pagamento dei fornitori in assenza di documentazione (anno 2007);

euro 45.000,00 per la fittizia rilevazione di crediti per fatture da emettere, presumibilmente utilizzata per coprire perdite non giustificabili;

euro 12.500,00 per rilevazione di pagamenti di imposte e tasse comunali senza giustificazione;

euro 20.281,46 per restituzione di finanziamenti infruttiferi ai soci in violazione del principio di postergazione (anno 2007);

euro 42.743,75 per restituzione di finanziamenti infruttiferi ai soci in violazione del principio di postergazione (anno 2008);

euro 183.540,80 per prelievi ingiustificati dell’amministratore;

euro 105.038,10 per il pagamento di fornitori in assenza di documentazione (anno 2008)

euro 4.000,00 per ammanco di cassa in contanti (non rinvenuti dal Curatore;

euro 7.000,00 per un indebito pagamento posto in essere dopo la revoca dalla carica di amministratore, a cui aggiungersi una quota degli oneri bancari sostenuti dalla società nel corso del 2007 e del 2008, determinata in via forfettaria in euro 24.857,15 corrispondenti al 50% del totale.

2. Si è detto che, nel termine concesso ai sensi dell’art. 182 l. fall., il Curatore ha depositato decreto del giudice delegato, reso in calce all’istanza con cui il Curatore richiamava la relazione ex art. 33 l.fall. dando atto che dall’analisi della documentazione della fallita erano emersi comportamenti distrattivi e scorretti della B., e chiedeva di essere autorizzato a esperire l’azione di responsabilità nei confronti dell’ex amministratore unico P. B. ai sensi dell’art. 146 l. fall., del seguente tenore: “V° autorizza la curatela ad agire in giudizio così come richiesto…”.

Le ulteriori eccezioni della B. non sono fondate.

Quanto alla genericità del decreto, per non esser precisato quale delle azioni di responsabilità – sociale, verso i creditori, verso i soci – veniva autorizzata, deve rammentarsi che “ L’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria, conferita dal giudice delegato ex artt. 25, comma 1, n. 6 e 31, legge fall., al curatore del fallimento, si estende, senza bisogno di specifica menzione, a tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio cui si riferisce l’autorizzazione e l’eventuale limitazione di quest’ultima, in rapporto alla maggiore latitudine dell’azione effettivamente esercitata, costituisce una questione interpretativa di un atto di natura processuale, deducibile in sede di legittimità soltanto qualora si stata proposta nel giudizio di merito” (in questi termini Cass., 13.5.2011 n. 10652; nel caqso di specie non si ravvisano elementi che inducano a ritenere una qualche limitazione dell’autorizzazione).

Quanto al fatto che il giudice delegato abbia provveduto senza acquisire il parere del Comitato dei creditori – effettivamente previsto come obbligatorio dall’art. 146 l. fall. – appare ancora valido, perché non contraddetto da alcuna disposizione novellata, l’insegnamento della giurisprudenza formatasi nel vigore della legge fallimentare anteriore alla riforma del 2005: “Ai fini dell’esercizio delle azioni di responsabilità, ex artt. 2339, 2394 cod. civ., nei confronti di amministratori, sindaci e liquidatori della società fallita, la consultazione del comitato dei creditori prescritta dal comma secondo dell’art. 146 l.fall. costituisce un momento tipico dell’iter tendente alla formazione del decreto del giudice delegato, di autorizzazione della curatela all’esercizio delle dette azioni, che trova, come tale, i suoi necessari ed esclusivi sistemi di controllo nei reclami ex artt. 26, 36 legge fall. all’interno della procedura fallimentare, con la conseguenza che, in difetto dell’esperimento di tali rimedi, l’atto che viene, sia pure irregolarmente a formarsi, non è più impugnabile neppure fuori della procedura fallimentare” (Cass., 11.3.1987 n. 2523).

Deve, pertanto, escludersi che la irregolarità che consegue alla mancata audizione del Comitato dei creditori possa essere accertata in via incidentale nel giudizio autorizzato.

3. In comparsa conclusionale la B. rinnova l’istanza di rimessione in termini per la produzione di documentazione contabile (indicata in fatture emesse dalla società o nei confronti della stessa, contratti di locazione, note di credito, estratti conto bancari, documenti attestanti i versamenti dei contributi assistenziali INPS e INAIL per il periodo marzo 2004-giugno 2008), dolendosi che il giudice istruttore non abbia consentito l’ingresso negli atti di tale documentazione, che asserisce a lei restituita dal commercialista della società soltanto dopo il maturare delle preclusioni istruttorie.

A detta della B., la mancata acquisizione di tale documentazione ha impedito l’esatta ricostruzione contabile e ha reso la relazione peritale del tutto insufficiente, incongrua, illogica, contraddittoria e immotivata.

Il giudice istruttore ha già osservato che la parte doveva imputare a se stessa di non aver ottenuto, anche se necessario con un’azione legale, la documentazione, o, al limite, di non averne chiesto l’esibizione nel presente giudizio.

Com’è noto, infatti, la produzione documentale, una volta che siano decorsi i termini per le deduzioni istruttorie, non è più consentita, e la parte può ottenere la rimessioni in termini solamente dimostrando una causa non imputabile che le abbia impedito la produzione tempestiva.

In effetti, non soltanto, come già evidenziato dal Giudice istruttore, la B. (che, nella sua qualità di amministratore uscente, era tenuta a porre tutta la documentazione sociale a disposizione del nuovo amministratore Dott. M. e, successivamente al Curatore) avrebbe potuto, e dovuto, attivarsi, al limite agendo giudizialmente nei confronti del professionista che stava trattenendo la documentazione sociale, o quanto meno chiedendo, in questo stesso giudizio, un ordine di esibizione nei confronti del medesimo

; ma non ha neppure offerto la prova del presupposto della richiesta rimessioni in termini, e cioè del fatto che solamente dopo il maturare delle preclusioni istruttorie il commercialista le abbia restituito documentazione, né del fatto che, come allegato, sia stata in passato sollecitata “innumerevoli volte” la restituzione.

A ben vedere, in comparsa di risposta la B. non ha neppure fatto menzione della circostanza, che pure, sulla base delle sue asserzioni, doveva ritenersi a lei nota, visto che afferma ora di aver rivolto al commercialista numerose sollecitazioni alla restituzione (anzi, costituendosi la convenuta aveva sostenuto che la documentazione sociale in possesso del Curatore consentiva a quest’ultimo di quantificare i pretesi pregiudizi e che pertanto non era applicabile il criterio equitativo di liquidazione). L’istanza , quindi, non può essere accolta.

Il fatto che la B., a causa iniziata, e dopo che era stata disposta dal giudice istruttore una consulenza tecnica a cui si era opposta, abbia invece rammentato che una consistente parte della documentazione sociale, senza la cui acquisizione era impossibile ricostruire la contabilità in modo sufficiente, congruente e logico, non era in possesso del Curatore contribuisce, a questo punto, a rendere evidente la sua cattiva amministrazione.

4. la B. ha eccepito che il Curatore non può esercitare l’azione di responsabilità spettante al singolo socio né quella spettante ai creditori, in quanto, nella disciplina della società a responsabilità limitata conseguente alla novella del 2003

, si tratta di azioni che non sono più previste.

Nulla quaestio per quanto riguarda l’azione di responsabilità che spetta al singolo socio, per la ragione, francamente assorbente, che il Curatore non si pone mai come rappresentante del socio della società di capitali fallita.

Per quanto riguarda l’azione di responsabilità spettante ai creditori, deve premettersi che, secondo giurisprudenza di legittimità consolidata, “l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 146, ha natura contrattuale e carattere unitario e inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c; ne consegue che, mentre su chi promuove grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso su amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti; pertanto, l’onere della prova della novità delle operazioni intraprese dall’amministratore successivamente al verificarsi dello scioglimento della società per perdita del capitale sociale, compete all’attore e non all’amministratore convenuto” (Cass., sez 1^, 29 ottobre 2008, n. 25977, m. 605521)” (così, p.e., Cass. 21.7.2010 n. 17121).

Ora, è noto che la novella del 2003, mantenendo, nella disciplina della società per azioni, la distinzione tra l’azione di responsabilità degli amministratori spettante alla società e quella spettante ai creditori (disciplinate rispettivamente dagli artt. 2393 e 2394 c.c.), nel regolare, al nuovo art. 2476 c.c, la responsabilità degli amministratori di s.r.l. non ha richiamato (diversamente dalle disposizioni anteriormente vigenti) la seconda ti tali azioni, mantenendo il riferimento alla sola responsabilità verso la società, oltre che a una generale azione di risarcimento spettante al terzo danneggiato direttamente da atti dolosi o colposi degli amministratori.

Si è pertanto sostenuto, da parte della dottrina e della giurisprudenza, che la mancata riproduzione del richiamo sia consapevole e che pertanto i creditori non dispongano più dell’azione a tutela del patrimonio sociale: discutendosi, in tal caso, se il contenuto di tale azione possa essere recuperato ricorrendo alla generale azione di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Tuttavia, appare preferibile la tesi, sostenuta, con vari accenti e approfondimenti, da numerose pronunce di merito (fra le quali si vedano p.e. Trib. Udine, 11.2.2005; Trib. Pescara 15.11.2006; Trib. Roma 17.12.2008; Trib. Padova, 24.6.2009; Trib. Napoli, 11.1.2011; Trib. Milano, 23.5.2013, con richiamo di ulteriori precedenti del medesimo ufficio), della possibilità di applicare, quanto meno in via analogica, l’art. 2394 c.c. anche alla disciplina della società a responsabilità limitata.

In effetti, la mancata esplicita previsione di un’azione di responsabilità spettante ai creditori darebbe vita a una lacuna dell’ordinamento, in una materia in cui sussiste assoluta identità di esigenza di tutela e in quadro in cui, come si è osservato, la responsabilità dei sindaci, qualora ne sia prevista la nomina come obbligatoria, è regolata dalle disposizioni in materia di società per azioni ai sensi dell’art. 2477 c.c. (con la conseguenza che i sindaci risponderebbero senz’altro anche verso i creditori), mentre l’art. 2486, per il caso della prosecuzione dell’attività nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento, dettato per ogni società di capitali e quindi anche per la s.r.l., prevede esplicitamente la responsabilità nei confronti dei creditori.

A ciò si aggiunga che un’interpretazione della novella che conservi l’azione di responsabilità ai creditori della s.r.l. apapre più conforme a costituzione, visto che i principi posti dalla legge delega (legge 366/01) non menzionano alcuna eliminazione della responsabilità degli amministratori di s.r.l.  nei confronti dei creditori.

La già richiamata unitarietà dell’azione di responsabilità esercitata dal Curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall., da intendersi in ogni caso come contrattuale, attenua comunque largamente, in caso di fallimento, il rilievo della questione.

5. Ciò premesso, deve osservarsi che il Curatore ha dedotto in giudizio una pluralità di condotte della sig.ra B. che asserisce contrarie ai doveri dell’amministratore e una molteplicità di eventi pregiudizievoli che ne sono conseguiti.

In alcuni casi, l’illegittimità dell’atto può essere affermata sotto più di un profilo: la conclusione è evidente se l’atto, in sé contrario ai doveri dell’amministratore, è anche stato posto in essere in violazione dell’obbligo di astensione da nuove operazioni dopo il verificarsi di una causa di scioglimento.

In corso di causa, per economia processuale, il Curatore ha sostanzialmente rinunciato a talune delle sue iniziali deduzioni: in particolare, con il suo consenso, si è soprasseduto alla nomina di un esperto in materia mineraria per valutare la congruità del prezzo di cessione della cava.

Ora, come si è visto, il consulente, eseguite le riclassificazioni indicate nella sua relazione, ha accertato che il capitale sociale era interamente perduto (e quindi era anche inferiore al minimo legale) sin dall’esercizio 2006.

Alle valutazioni del consulente la B. non ha adeguatamente replicato.

L’amministratore non ha posto in essere alcuno dei provvedimenti conseguenti (art. 2482 ter c.c. comma 1: “Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dal numero 4) dall’articolo 2463, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo”), sicchè si è verificata una causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2484 n. 4 c.c..

Già nell’esercizio 2006, quindi, si era verificata una causa di scioglimento, il che assorbe totalmente il rilievo della successiva cessione della cava come ulteriore causa di scioglimento per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

Verificatasi una causa di scioglimento, come per vero non è contestato dalla B., gli amministratori sono personalmente responsabili dei danni conseguenti alla mancata adozione degli adempimenti che ne conseguono (art. 2485 c.c.) e in particolare debbono compiere i soli atti  di gestione che tendono alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, rendendosi personalmente responsabile dei danni che conseguono alla violazione di tale dovere (art. 2486 c.c.).

Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità il danno che ne consegue, quando l’azione di responsabilità sia promossa, come nel caso, dal curatore fallimentare, non si identifica necessariamente con la differenza tra attivo e passivo fallimentare.

La recente e completa disamina che si legge in Cass., ord. 3.6.2014 n. 12366, che ha rimesso la relativa questione alle Sezione Unite, consente di distinguere un primo filone in cui il detto criterio è ritenuto legittimo quando la contabilità non sia tenuta o sia tenuta in modo sommario e non intellegibile (prescindendo dalla più remota Cass., 4338/76, che in una tale situazione riteneva legittima la sola condanna generica, Cass., 3925/79; 6493/85; 5876/11; 7606/11), non consentendo la prova precisa del quantum (Cass., 3483/98, secondo cui graverebbe in tal caso sull’amministratore la prova contraria); un secondo e più risalente filone in cui è ritenuto legittimo se si possa presumere che l’intero sbilancio sia imputabile alla mala gestio dell’amministratore (Cass., 1281/77; 9252/97; 1375/00), con la precisazione che laddove il danno che concretamente risulta in causa sia superiore allo sbilancio non vi è motivo per limitare la condanna a quest’ultimo (Cass., 2538/05; 11155/12; 17198/13).

Nel caso di specie, tuttavia, in quanto il consulente, pur dando atto della inattendibilità della contabilità, inattendibilità che, peraltro, è dimostrata anche, come si è accennato, dalla stessa istanza di rimessione in termini della convenuta, ha proceduto a identificare in concreto le conseguenze dannose della mala gestio della  sig.ra B., pervenendo a una somma sensibilmente superiore alla differenza tra attivo e passivo fallimentare, la questione è, nella presente sede, irrilevante.

Deve solamente precisarsi:

- sulla scorta di Cass., 10488/98, che non vi è motivo per ritenere che la responsabilità dell’amministratore debba limitarsi allo sbilancio fallimentare, laddove il danno concretamente accertato sia superiore: a prescindere da ogni ulteriore considerazione al riguardo, infatti, quanto meno nei confronti della Società (e quindi, una volta chiuso il fallimento, degli aventi diritto sul patrimonio residuo), se non dei creditori, l’amministratore deve ritenersi tenuto a rifondere l’intero danno da lui arrecato anche se, in ipotesi, ciò comporti, nell’ambito della procedura concorsuale, un sopravanzo;

- nel caso di specie, avendo il Curatore originariamente chiesto il pagamento della somma corrispondente allo sbilancio fallimentare, ovvero quella maggiore o minore che fosse risultata in corso di istruttoria, non vi è neppure questione di ultrapetizione nel determinare il danno in misura superiore;

- anche in nome del principio di vicinanza della prova, le operazioni ingiustificabili sulla base della contabilità acquisita alla procedura (e, nel caso di specie, non è contestato che il Curatore abbia acquisito solamente le scritture da lui indicate in atto di citazione) debbono ritenersi effettivamente ingiustificate salva la prova contraria da parte dell’amministratore; nel caso di specie, se è vero che la sig.ra B. ha passato le consegne al dott. M., e questi al Curatore, sarebbe stato suo onere eventualmente allegare e provare, per le scritture attinenti al periodo anteriore alla sua cessazione dell’incarico, di averle consegnate al suo successore, dovendosi, in mancanza, presumere che il Curatore non le abbia ricevute dal Dott. M.  perché questi non le ha ricevute dalla convenuta.

Ciò premesso, come si è visto, il consulente dell’ufficio ha quantificato il danno in complessivi euro 715.432,23 di cui:

euro 315.509,07 per pagamento di fornitori in assenza di documentazione (euro 210.470,97 per l’anno 2007 ed euro 105.038,10 per l’anno 2008),

euro 45.000,00 per la fittizia rilevazione di crediti per fatture da emettere presumibilmente utilizzata per coprire perdite non giustificabili,

euro 12.500,00 per rilevazione di pagamenti di imposte e tasse comunale senza giustificazione,

euro 63.025,21 per restituzione di finanziamenti infruttiferi ai soci in violazione del principio di postergazione (euro 20.281,46 per l’anno 2007 ed euro 42.743,75 per l’anno 2008),

euro 183.540,80 per prelievi ingiustificati dell’amministratore,

4.000,00 per ammanco di cassa in contanti,

7.000,00 per un indebito pagamento posto in essere dopo la revoca dalla carica di amministratore,

euro 24.857,15 da lui determinati in via forfettaria come quota degli oneri bancari sostenuti dalla società nel corso del 2007 e del 2008 pari a 50% del totale.

Si tratta, evidentemente di condotte che, di per sé, costituirebbero altrettanti illeciti dell’amministratore, e che quindi, a maggior ragione, costituiscono atti non diretti alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

In effetti, pagare fornitori in assenza di documentazione equivale a effettuare pagamenti indebiti; analoga costituisce un pagamento indebito la restituzione ai soci di finanziamenti in violazione della regola di postergazione di cui all’art. 2467 c.c. (il presupposto della postergazione non è neppure posto in discussione dalla B. in comparsa conclusionale).

Giova precisare che il curatore, in atto di citazione, non ha espressamente menzionato la violazione della postergazione nella restituzione del finanziamento ai soci; ma la questione non è rilevante, in quanto tali atti non vengono considerati come fonte di e autonomie violazioni da parte della sig.ra B. ma come danni causati dalla mancata adozione dei provvedimenti conseguenti alla perdita del capitale3 sociale.

A maggio ragione costituisce atto contrario all’esigenza di conservare il patrimonio il prelievo di denari dalle casse sociali da parte dell’amministratore, in assenza della prova dell’utilizzo non personale, e anzi, a quanto si desume dalle risultanze del libro giornale analizzate dal consulente, in numerosi casi eseguiti per espliciti fini personali (si vedano la causali indicati nella tabella all. 16 della relazione : pg. personale Tina, pg. personale, pg Faro – personale, pg. Contributi Gianni etc.):

Analogamente si deve concludere con riferimento alla somma di euro 4.000,00 corrispondente all’ammanco di cassa, visto che, a quanto si desume dalla tabella all. 18, si tratta di due prelievi di euro 2.000,00 ciascuno dalla cassa contanti, assimilabili, quindi, ai prelievi di cui al paragrafo che precede.

Per quanto concerne la voce che il consulente definisce “rilevazione di pagamenti di imposte e tasse comunali senza giustificazione”, si desume che dalla tabella allegata alla relazione – che registra la voce in avere – che si tratta di un’uscita ingiustificata, per la quale, quindi, vale quanto sopra si è detto a proposito dei pagamenti senza giustificazione.

Non si può invece condividere l’inserimento, nel danno, della somma di euro 45.000,00 ingiustificatamente registrata in dare. Tale indebita appostazione, infatti, se pure contribuisce a rendere inattendibile la contabilità e a occultare la perdita del capitale sociale, non comporta alcuna diminuzione patrimoniale per le casse sociali; la conclusione del consulente secondo cui essa presumibilmente dissimula perdite non giustificabili è una mera illazione.

Appare poi, condivisibile la conclusione del consulente di computare una quota, equitativamente stimata nel 50%, degli oneri bancari addebitati alla fallita negli esercizi successivi al verificarsi della causa di scioglimento.

In effetti, se pure è vero che, presumibilmente, i rapporti bancari sarebbero stati mantenuti comunque in essere, le operazioni poste in essere dalla B., e sopra evidenziate, aumentando il passivo, hanno anche accresciuto gli oneri bancari, sicché appare corretto ascriverne una quota a sua responsabilità.

Per quanto infine riguarda la somma di euro 7.000,00, corrispondente a un indebito pagamento eseguito addirittura dopo la cessazione della convenuta dalla carica di amministratore, non la si può inserire nella determinazione del danno conseguente alla male gestio dopo il mancato accertamento della causa di scioglimento, danno che, logicamente si arresta al momento della cessazione dell’incarico.

E tuttavia, in quanto sin dall’atto di citazione il Curatore dava atto di pagamenti eseguiti dalla B. dopo la cessazione della qualità di amministratore, la somma può comunque essere ascritta, sia pure ad altro titolo, alla responsabilità dell’amministratore come atto in sé illecito e posto in essere, evidentemente, avvalendosi della pregressa qualità e abusandone.

Sembra appena il caso di precisare che, diversamente da quanto sembra adombrare la convenuta, il danno è immediato e non viene meno per il fatto che il Curatore possa, eventualmente, tentare di recuperare i pagamenti indebitamente eseguiti, senza che risulti, a tacer d’altro l’esito positivo del tentativo.

Stante la posizione da ultimo assunta dal Curatore, le ulteriori voci di danno introdotte in atto di citazione e non esaminate dal consulente si debbono ritenere non più coltivate.

Complessivamente, quindi, il danno ammonta a euro 670.432,23 ed è espresso quanto a 7.000,00 in valuta del giorno del pagamento successivo alla cessazione dalla carica di amministratore e quanto al residuo in valuta del giorno della sostanziale cessazione dall’incarico (27.1.2009).

Da tali date si calcolano la rivalutazione monetaria e, previa rivalutazione anno per anno, gli interessi al tasso legale.

Le spese di lite si liquidano come  da dispositivo e seguono la soccombenza.

Analogamente le spese di consulenza gravano sulla convenuta.

pqm

definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza disattesa;

dichiara tenuta e condanna P. B. a corrispondere al Curatore del Fallimento della A. S.p.A. la somma di euro 670.432,23 oltre rivalutazione monetaria e interessi al tasso legale da calcolarsi come in motivazione;

condanna P. B. a rifondere al Curatore del Fallimento della A. S.p.A le spese di lite che liquida in euro 900,70 per esborsi, euro 20.000,00 per compensi, oltre spese generali ex DM 55/14, contributo previdenziale forense, IVA se non detraibile e successive occorrende;

pone definitivamente le spese di consulenza a carico di P.B..

Pisa, 20.11.2014

Il giudice estensore – dott. Marco Viani

Il Presidente – dott.ssa Maria Sammarco

 

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