App. Milano 20.11.2014 (ancora sulla falcidiabilità dell’IVA nel concordato preventivo)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio il decreto reso dalla Corte di Appello di Milano in data 30.10.2014 e depositato in data 20.11.2014.

Il provvedimento, a mio avviso, pone una “pietra tombale” sull’annosa questione riguardante la falcidiabilità o meno dell’IVA e delle ritenute operate e non versate nel concordato preventivo proposto senza transazione fiscale.

Anche per la Corte di Appello di Milano, infatti, le disposizioni dell’art. 182 ter L. Fall. hanno natura sostanziale e non processuale ed operano, di conseguenza, anche nel caso di mancato ricorso allo strumento della transazione fiscale.

Il Collegio rileva, inoltre, che la non falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute è stata estesa dal legislatore anche alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui all’art. 7 della legge n. 3/2012 (che viene definito “concordato minore”) e non vi sono quindi ragioni per ritenere che resti escluso il concordato preventivo.

Particolarmente interessante, infine, è il passo nel quale i Giudici evidenziano che “la diversa regolamentazione dei crediti in parola nell’ambito dell’esecuzione fallimentare e nell’esecuzione individuale rispetto al concordato senza transazione fiscale si giustifica in considerazione del fatto che nel primo caso si è in presenza di un esecuzione, individuale o concorsuale imposta al debitore il quale risponde nei limiti di capienza del proprio patrimonio, mentre nel concordato preventivo si è in presenza di una procedura esecutiva appunto preventiva su base negoziale e l’imprenditore può accedere a tale soluzione di composizione della crisi in quanto per alcuni crediti sia garantito l’integrale soddisfacimento. Della diversità di situazione ricorre anche nell’ipotesi del concordato fallimentare in relazione al quale è pacifico che il mancato integrale soddisfacimento dei crediti in parola non è ostativo all’omologazione, in quanto che, benché anche in questo caso si sia in presenza di una composizione negoziale, tuttavia la situazione non appare perfettamente equiparabile a quella del concordato preventivo. Nonostante le innegabili analogie che contraddistinguono la procedura di concordato fallimentare e di concordato preventivo, soprattutto dopo i recenti interventi del legislatore del 2006 e del 2007 che hanno accentuato il carattere privatistico di entrambi gli istituti, permangono delle differenze tra le due procedure che non rendono senz’altro irragionevole o arbitraria una diversa disciplina relativamente al profilo in esame. E invero la fondamentale differenza che si rinviene è rappresentata dalla diversità del contesto nel quale l’una e l’altra procedura si collocano. In particolare, relativamente al concordato fallimentare, non può non tenersi conto del fatto che quest’ultimo, rappresentando un modo alternativo di chiusura del fallimento, diversamente quindi dal concordato preventivo che ha invece, quale finalità quella di evitare l’apertura della  procedura fallimentare, si inserisce nell’ambito di una procedura di fallimento già in atto”.

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Milano

Sezione 4^ civile

Riunita in camera di consiglio in persona di:

Dott. Paolo Fabrizi                                                      Presidente

Dott. Erminia Lombardi                                            Consigliere rel.

Dott. Mauriano Del Prete                                           Consigliere

Ha pronunciato la seguente

DECRETO

Nel procedimento iscritto in grado d’appello n. 523/2014 del Ruolo Generale V.G.

tra

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. omissis) rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Distrettuale di Milano presso i cui uffici è elettivamente domiciliata in Milano, via omissis

reclamante

e

R. SPA (C.F. omissis) rappresentata e difesa dagli avv.ti omissis per procura a margine della comparsa di costituzione in sede di reclamo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. omissis.

reclamata

 

OGGETTO: reclamo avverso decreto ex art. 183 l. fall.

CONCLUSIONI: v rispettivi atti difensivi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto in data 27 giugno – 1 luglio 14 – 17  luglio 2014 il Tribunale di Varese, previa reiezione della opposizione proposta dall’Agenzia delle Entrate, omologava il concordato preventivo presentato dal società R. S.p.a.

Avverso il decreto proponeva reclamo l’opponente ex art. 184 l. fall. chiedendo che, in riforma del decreto impugnativo, venisse respinta la domanda di omologazione del concordato preventivo proposto.

Instaurato il contraddittorio si costituiva la sol società R. s.p.a. insistendo per la reiezione del reclamo.

All’udienza del 30 ottobre 2014 la Corte, all’esito della discussione, si riservava la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Premesso che il contraddittorio deve ritenersi regolarmente instaurato nonostante l’omessa notifica del reclamo al Comitato dei creditori, non risultando quest’ultimo parte necessaria del giudizio di omologazione va in primo luogo, disattesa l’eccezione, sollevata dalla reclamata, di difetto di legittimazione attiva della reclamante sul rilevo che l’opposizione essendo stata tardivamente proposta oltre il termine di dieci giorni previsto dall’art. 180 l.fall. doveva dichiararsi inammissibile.

Appare infatti condivisibile la conclusione cui è pervenuto il tribunale il quale ha osservato che il “dato letterale per un verso e per altro verso, l’indagine sulla funzione che la previsione di tale termine processuale intende svolgere, escludono che al termine medesimo possa attribuirsi natura perentoria”. Sul punto in dottrina, dopo aver premesso che al rispetto del termine di dieci giorni di cui all’art. 180 citato. Di cui neppure e specificata la natura perentoria, è correlata solo la costituzione delle parti e non anche il compimento di attività procedurale si è osservato che appare preferibile l’opinione a favore dell’ammissibilità della costituzione tardiva con l’effetto che quest’ultima, in mancanza di un meccanismo persuasivo esplicito o implicitamente desumibile dal contesto normativo, non impedisce il compimento di qualsiasi attività procedurale ancora possibile in relazione allo sviluppo del procedimento.

Parimenti infondata è l’eccezione sollevata dalla reclamata di carenza di interesse dell’Agenzia delle Entrate ad opporsi all’omologa e quindi ad impugnare il decreto di omologazione, e ciò in quanto la proposta formulata dalla società e di cui il concordato omologato è la stessa identica soluzione che verrebbe adottata in caso di fallimento della società, con l’effetto che all’esecuzione del concordato non deriverebbe concretamente alcuna utilità concreta dall’eventuale accoglimento del reclamo.

E invero l’interesse ad impugnare, contrariamente a quanto dedotto dalla società reclamante, non può in capo all’Agenzia delle Entrate, la quale esercita la propria attività istituzionale nel rispetto del principio di legalità, atteso che quest’ultima, a sostegno della opposizione all’omologazione ha allegato il mancato soddisfacimento integrale del credito IVA e del credito per ritenute operate e non versate, vale a dire la violazione di una norma imperativa, questione quest’ultima che peraltro, attenendo alla fattibilità giuridica della proposta, rientra nel sindacato demandato al Tribunale.

Tanto premesso, si osserva che la reclamante con il primo motivo lamenta che il Tribunale abbia omologato la proposta presentata dalla società R. benché il piano presentato da quest’ultima prevedesse la falcidia dell’Iva e delle ritenute operate e non versate in violazione del disposto dell’art. 182 ter l. fall.. e cio in aperto contrasto con l’insegnamento, ormai consolidato, della Suprema Corte la quale in più occasioni ha ribadito che i crediti in parola debbono essere integralmente soddisfatti non solo nel caso in cui il debitore abbia fatto ricorso all’istituto della transazione fiscale.

E invero con riferimento al debito IVA la Suprema Corte nelle sentenze del 2011 e successivamente anche con la sentenza n. 7667/2012 ha stabilito che detto debito va integralmente pagato, sia che il debitore abbia formulato la proposta di transazione fiscale sia nel caso in cui non abbia ritenuto farvi ricorso, e ciò in quanto la previsione di cui all’art. 182 ter l. fall. secondo la quale “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento” e non quindi la sua falcidia, avrebbe natura non processuale, connessa alla specifico procedimento di transazione fiscale …

dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale e ciò di quanto trova fondamento nella peculiarità del credito IVA e prescinde dalle particolari modalità con le quali si svolge la procedura di crisi. Ne consegue che la norma, la quale sostanzialmente esclude il credito IVA da quelli che possono formare oggetto di imposizione quanto meno in ordine all’ammontare del pagamento, è una disposizione eccezionale che attribuisce al credito in questione un trattamento peculiare ed inderogabile.

Orbene il principio su esposto in materia di credito IVA e quindi la necessità di offrire l’integrale pagamento anche nell’ipotesi in cui non sia stata formulata domanda di transazione fiscale, alla luce del dato normativo, trova applicazione anche ai crediti per ritenute alla fonte.

E invero l’art. 182 ter l. fall. statuisce che la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento, e quindi non la falcidia, non solo relativamente all’imposta sul valore aggiunto, ma anche con riferimento alle “ritenute operate e non versate” le quali vanno pertanto integralmente pagate.

Tale soluzione di parificazione del trattamento di detti tributi è stata operata dal D.L. n. 78/2010 conv. in legge 122/2010 sul rilievo, condiviso anche in dottrina “ che le ritenute operate dal sostituito d’imposta a titolo di acconto sono pur utilizzate in detrazione dal sostituito, in diminuzione del proprio debito tributario … le ritenute d’acconto sono somme di terzi, che il sostituto trattiene allo scopo di riversarle allo Stato (…) con l’imposta sul valore aggiunto, atteso che il sistema di riscossione di entrambi i tributi coinvolge i terzi, rendono irragionevole una disparità di trattamento”.

Rileva la Corte che il motivo è fondato e merita pertanto accoglimento non ravvisandosi validi motivi per discostarsi dall’orientamento espresso in precedenti pronunce di condivisione delle sopra richiamate statuizioni della S.C.

E invero l’opzione interpretativa cui è pervenuta la Suprema Corte nelle pronunce del 2011 e 2012 (e Cassazione penale con la sentenza n.44283/2013) da ultimo è ribadita con la sentenza n. 14447/2014, oltre che da diverse pronunce della giurisprudenza di merito.

In quest’ultima pronuncia la S.C. dopo aver precisato che la natura eccezionale della norma di cui all’art. 182ter l. fall. non preclude all’interpretazione estensiva della medesima, ogni qual volta risulti che la portata effettiva della norma, avuto riguardo all’intenzione del legislatore va oltre il limite segnato dalla sua formazione letterale, ha statuito “come la previsione dell’intangibilità dell’i.v.a. contenuta nell’art. 182ter comma primo … a) sia ammessa con la peculiarità di tale tributo, considerato da normativa e giurisprudenza europea tra le risorse proprio dell’Unione Europea la cui gestione – sia normativa che esecutiva è di interesse comunitario e come tale sottoposta a vincoli, b) attenga quindi al trattamento del credito nell’ambito della procedura concorsuale cui la norma si riferisce, costituisca cioè norma sostanziale che prescinde dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi, se cioè la proposta di concordato preventivo ex art. 160 (o di accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis) contenga o non, anche la proposta di transazione fiscale; ciò anche perché altrimenti dovrebbe ritenersi che il legislatore con l’art. 182ter comma primo abbia inteso adeguare rigorosamente la normativa interna a quella europea ponendo l’obbligo di integrale pagamento di un’imposta di interesse comunitario quale l’i.v.a. e nel contempo lasciare alla (pur legittima) scelta discrezionale del debitore di non proporre la transazione fiscale l’assoggettamento, o non del medesimo a tale obbligo, in netto quanto ingiustificabile contrasto con il rigore realizzato da tale norma e con le ragioni che lo sostengono”.

La Suprema Corte ha quindi concluso evidenziando “l’infondatezza della denuncia di violazione del disposto dell’art. 160 comma secondo l. fall., con riguardo al diritto di alterare, con la proposta di concordato l’ordine delle cause legittime di prelazione e quindi anche la graduazione dei privilegi prevista dalla legge. E’ proprio della norma eccezionale di derogare in casi determinati ad un principio generale l’art. 182 ter attribuendo … al credito i.v.a. nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, un trattamento peculiare e inderogabile dall’accordo delle parti non produce per ciò solo l’effetto di incidere sul trattamento di tutti gli altri crediti (per i quali continua a valere l’ordine di graduazione), ma dal solo trattamento di quel credito, in quel particolare contesto procedurale. Tale scelta, che certamente incide sull’accordo delle parti diretto a trovare soluzione alla crisi al di fuori della liquidazione fallimentare, ponendovi dei limiti, rientra però nella discrezionalità del legislatore ordinario e non può quindi essere sindacata in questa sede”.

Sul punto va poi infine evidenziato che la non falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute è stata estesa dal legislatore anche alla procedura di composizione della crisi da sovra indebitamento di cui all’art. 7 della legge n. 3/2012, come modificata dal D.L. n. 179/2012 convertito in legge n. 221/2012 (c.d. concordato minore), previsione quest’ultima che prescindendo dall’istituto della transazione fiscale, avvalora la conclusione circa la volontà del legislatore di non limitarne l’operatività ai soli casi di ricorso alla transazione fiscale, ma di escludere la falcidiabilità del credito IVA e per ritenute nel più ampio ambito delle procedure di concordato preventivo. Né in contrario vale rilevare che assumere la natura sostanziale e non processuale della norma di cui all’art. 182ter l. fall. in ordine alla infalcidiabilità del debito per IVA e ritenute operate e non versate e quindi estenderne l’applicazione al di fuori dell’istituto della transazione fiscale, mal si concilia con il fatto che tale regola non opera invece nelle altre procedure concorsuali, nonché nelle esecuzioni individuali nell’ambito delle quali sia il debito IVA che per ritenute può invece restare non soddisfatto. Al di là del fatto che, come evidenziato in giurisprudenza non vi è ragione per escludere che il legislatore possa qualificare come privilegiati alcuni crediti solo in presenza di determinate condizioni e che l’equiparazione che in relazione a tali debiti, la Suprema Corte ha ritenuto tra transazione fiscale e concordato preventivo trova la sua giustificazione nella circostanza che anche la transazione fiscale la quale obiettivo di addivenire ad una soluzione extrafallimentare della crisi dell’impresa all’interno della procedura di concordato preventivo in ogni caso la diversa regolamentazione dei crediti in parola nell’ambito dell’esecuzione fallimentare e nell’esecuzione individuale rispetto al concordato senza transazione fiscale si giustifica in considerazione del fatto che nel primo caso si è in presenza di un esecuzione, individuale o concorsuale imposta al debitore il quale risponde nei limiti di capienza del proprio patrimonio, mentre nel concordato preventivo si è in presenza di una procedura esecutiva appunto preventiva su base negoziale e l’imprenditore può accedere a tale soluzione di composizione della crisi in quanto per alcuni crediti sia garantito l’integrale soddisfacimento. Della diversità di situazione ricorre anche nell’ipotesi del concordato fallimentare in relazione al quale è pacifico che il mancato integrale soddisfacimento dei crediti in parola non è ostativo all’omologazione, in quanto che, benché anche in questo caso si sia in presenza di una composizione negoziale, tuttavia la situazione non appare perfettamente equiparabile a quella del concordato preventivo. Nonostante le innegabili analogie che contraddistinguono la procedura di concordato fallimentare e di concordato preventivo, soprattutto dopo i recenti interventi del legislatore del 2006 e del 2007 che hanno accentuato il carattere privatistico di entrambi gli istituti, permangono delle differenze tra le due procedure che non rendono senz’altro irragionevole o arbitraria una diversa disciplina relativamente al profilo in esame. E invero la fondamentale differenza che si rinviene è rappresentata dalla diversità del contesto nel quale l’una e l’altra procedura si collocano. In particolare, relativamente al concordato fallimentare, non può non tenersi conto del fatto che quest’ultimo, rappresentando un modo alternativo di chiusura del fallimento, diversamente quindi dal concordato preventivo che ha invece, quale finalità quella di evitare l’apertura della  procedura fallimentare, si inserisce nell’ambito di una procedura di fallimento già in atto.

Alla luce di tali rilievi non appaiono condivisibili le argomentazioni svolte dalla reclamata a sostegno della richiesta, da quest’ultima formulata sull’assunto della contrarietà degli art. 1,4,35 e 36 Cost. nonché gli artt.  3, 24 co. 1 e 42, c. 3 Cost, dell’art. 182ter l.fall. di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale posto che, come appunto precisato anche dalla S.C. nell’ultima pronuncia citata, il trattamento “peculiare e inderogabile dall’accordo delle parti” riservato dall’art. 182ter l.fall. al credito IVA “ non produce per ciò solo l’effetto di incidere sul trattamento di tutti gli altri crediti (per i quali continua valere l’ordine di gradazione) ma sul solo trattamento di quel credito, in quel particolare contesto procedurale. Tale scelta, che certamente incide sull’accordo delle parti diretto a trovare soluzione alla crisi al di fuori della liquidazione fallimentare ponendovi dei limiti rientra però nella discrezionalità del legislatore ordinario e non può quindi essere sindacata in questa sede”.

In ogni caso va pure rilevato che la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale degli  art. 160 e 182ter l. fall. in relazione agli  art. 97 e 3 Cost. ha ritenuto la questione manifestamente infondata sul rilievo che la normativa in parola si è imposta alla luce della necessità “di non contravvenire alla normativa europea che vieta allo Stato membro di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento  e verifica” in relazione al tributo IVA in quanto risposta proprio dell’Unione Europea, con la conseguenza che pacifica la compatibilità comunitaria della normativa impugnata e la peculiarità della disciplina  in materia IVA, non sono ravvisabili”profili di intrinseca ragionevolezza nella disciplina dettati dagli artt. 160 e 182ter della legge fallimentare, la quale regolamenta diversamente il credito erariale IVA riservando ad esso un trattamento necessariamente differenziato non solo riguardo ai crediti privilegiati in generale, ma anche nei confronti degli altri crediti tributari assistiti da privilegio” (v. Corte Cost. n. 225/2014).

Alla luce del carattere inderogabile della previsione contenuta nella norma,, di natura eccezionale, di cui all’art. 183ter l.fall. in ordine alla necessità che la proposta di concordato preveda l’integrale pagamento del credito IVA e per ritenute fiscali (inderogabilità che, come precisato dalla Suprema Corte, non viene meno neppure qualora il debitore non ritenga di ricorrere all’istituto della transazione fiscale) ne consegue, avuto riguardo al fatto che il soddisfacimento parziale dei tributi in esame è questione che incide sulla possibilità giuridica della proposta, vale a dire attiene ad un profilo che rientra nell’ambito della valutazione rimessa al Tribunale, la non omologabilità , per mancato integrale pagamento del credito IVA e per ritenute fiscali, della proposta di concordato presentata dalla società reclamata.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento dell’altro motivo di gravame con il quale la reclamante deduce l’illegittimo declassamento del credito erariale da privilegiato a chirografario in violazione dell’art. 160 l.fall.

Il decreto impugnato va pertanto revocato

La delicatezza delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando:

 

1) in accoglimento del reclamo proposto ex art. 183 l. fall. dall’Agenzia delle Entrate avverso il decreto in data 27 giugno-1 luglio/14-17 luglio 2014 del Tribunale di Varese con il quale è stato omologato il concordato preventivo presentato dalla società R. s.p.a., revoca il predetto decreto:

2)dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del procedimento.

 

Così deciso in Milano il 30 ottobre 2014

IL PRESIDENTE

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