Cass. 04.05.2016 n. 8804 (sul controllo di legalità sulla proposta di concordato)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 8804 resa dalla Sez. I Civile della Corte di Cassazione in data 04.05.2016.

Nella stessa la Suprema Corte affronta in via preliminare un tema squisitamente processuale, i confini del rigetto in rito ex art. 360 bis c.p.c. del ricorso avverso un provvedimento che abbia deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte.

Ciò premesso, il Collegio ricorda che la giurisprudenza è unanime nel ritenere che le riforme che si sono succedute negli ultimi anni hanno ridotto ma non escluso i poteri di intervento del Tribunale sulla legalità della proposta di concordato preventivo.

Tale controllo, in particolare, si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura e, nel contempo, si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato, intesa come obiettivo specifico perseguito dal procedimento.

Nel merito la corte ribadisce poi come l’istituto della transazione fiscale ex art. 182 ter L.F. rappresenti un sub procedimento dotato di precisa autonomia. Nell’ambito del controllo di legalità, quindi, andrà verificata la completezza della proposta e l’apprezzabile indice di soddisfacimento per il creditore erariale.

Nella proposta oggetto di giudizio, invece, era stato del tutto omesso il credito per accessori dell’IVA e ciò inficiava, irrimediabilmente, l’idoneità della transazione fiscale a giustificare l’ammissione della proposta di concordato e la sua spedizione al voto.

La Corte, infine, rileva come non incida sul giudizio il recente arresto della CGUE perché, nell’ipotesi qui affrontata, non si discute di falcidia dell’IVA ma della sua mancata indicazione nella proposta di transazione fiscale.

Buona lettura.

Simone Giugni

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 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente -

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere -

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere -

Dott. FERRO Massimo – Consigliere -

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

_____________ s.r.l., in liquidazione, in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv. _____________ e dall’avv. _____________, elett. dom. presso lo studio del secondo in Roma, via _____________, come da procura a margine dell’atto;

- ricorrente -

contro

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Biella;

Procura generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione;

- intimati -

per la cassazione del decreto Trib. Biella 30.6.2010, nel proc. R.C.P. n. 3/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 20 aprile 2016 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. SALVATO Luigi che ha concluso per il rinvio in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

Svolgimento del processo

_____________ s.r.l. in liquidazione impugna il decreto Trib. Biella 30.6.2010 (n. 3/2009 R.C.P.) con cui è stata dichiarata l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo con cessione di parte dei beni presentata dalla società ricorrente il 19.3.2009, per come modificata il 23.6.2010. Il tribunale ebbe in primo luogo a reiterare le prime valutazioni già espresse con precedente ordinanza del 23.4.2009 in punto di connotazione positiva della qualità di imprenditore commerciale oltre la soglia di cui all’art. 1, comma 2 l.f., stato di insolvenza, coerenza e completezza del giudizio di fattibilità del piano e concrete modalità di sua esecuzione, ma prese altresì atto che, nel lungo intervallo tra la domanda iniziale e la decisione finale, cioè durante la sospensione del procedimento per rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità degli artt. 160 e 162 l.f. (poi decisa con ordinanza di inammissibilità 12.3.2010, n.98), vi erano stati rilevanti mutamenti operati dalla società mediante talune operazioni di amministrazione straordinaria sull’azienda, con effetti di decisiva novità sulla stessa proposta.

In particolare, osservò il tribunale che _____________ pur ormai in liquidazione, aveva – tra l’altro – stipulato un affitto d’azienda a 30 mesi dei suoi due principali rami produttivi, con opzione di vendita e aveva ricevuto una proposta d’acquisto di immobili, pari ai due terzi dell’attivo, a condizioni peggiorative per capitale ma migliori per tempi di realizzo rispetto alla condizione originaria, nonché aveva proceduto a suddividere i creditori chirografari in tre classi (finanziari ed ex amministratori, al 33.14% e creditori non finanziari, al 47.16%), infine sottoponendo all’Agenzia delle Entrate e al Concessionario per la riscossione una proposta di transazione fiscale. Quest’ultima era fondata sulla dilazione di pagamento integrale del debito tributario, non ancora iscritto a ruolo, relativo all’IVA dal 2007 al 2009 compresi e pari rispettivamente a crediti per 1.387.457,94, 1.263.174,89 e 131.149,75 Euro, senza pagamento degli accessori (sanzioni ed interessi). La cessione dei beni ai creditori concerneva tutto il patrimonio, ad eccezione di beni di magazzino e crediti verso l’affittuaria d’azienda, quantificati in Euro 2.781.782 e destinati all’estinzione del debito dedotto nella citata transazione fiscale, conseguendone un assetto finale per cui anche i privilegiati venivano ad essere pagati per l’intero ad eccezione dell’IVA per come dedotta nel citato istituto.

Ritenne però il tribunale che il pagamento solo parziale del credito IVA (per capitale), la dilazione in 6 anni, l’accollo privativo da parte di un terzo (l’affittuario d’azienda) e per il controvalore della cessione definitiva d’azienda, nonchè del magazzino residuo e di parte del canone, non rispondessero ai parametri di ammissibilità dell’istituto cui era complessivamente ricorsa la società debitrice.

Il principale profilo di inammissibilità venne così ravvisato nella compressione del credito per sanzioni ed interessi relativi all’IVA, privo di qualunque prospettazione di pagamento nella proposta finale, nonostante il rango privilegiato e le previsioni dell’art. 182ter, comma 1 l.f. e comunque non tenendosi conto della necessità che esso fosse oggetto di un pagamento almeno parziale, a fronte di un trattamento migliore degli altri crediti: il confronto veniva così esplicitato sia rispetto ai privilegiati, di natura omogenea e trattati con previsione satisfattiva addirittura per gli interessi maturandi in corso di procedura e per tempi inferiori ai 6 anni (dettati, tra l’altro, per il solo credito IVA per capitale), sia per i chirografari, comunque destinatari di proposta di pagamento in percentuale. Ne conseguiva, per il tribunale, la violazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione ed un limite allo stesso classamento del credito IVA, ingiustificatamente escluso, unitamente alla inclusione in apposita classe, dall’accesso al voto per la parte non soddisfatta.

Il ricorso è affidato a due motivi.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto agli artt. 160, 162 e 182ter l.f., ove il decreto avrebbe esorbitato dai limiti connessi al controllo giurisdizionale, estendendo il sindacato sul merito della proposta ed in particolare sul contenuto della transazione fiscale.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione di legge, quanto all’art. 1193 c.c., artt. 177 e 182ter l.f., oltre al vizio di motivazione, avendo il tribunale trascurato che la transazione fiscale va oltre il concordato preventivo, mirando a consolidare i debiti e non esaurendosi nella specialità del voto dato al creditore pubblico, tanto più che nella specie per gli accessori dell’IVA ancora non vi era stata iscrizione a ruolo.

1. In via preliminare, si dà atto che sul carattere decisorio della dichiarazione di inammissibilità della proposta, anche nel caso essa avvenga ai sensi dell’art. 162 l.f., non sussistono dubbi, essendo evidente che detta inammissibilità preclude la possibilità di dar corso alla procedura concorsuale, cioè di regolare la propria crisi o insolvenza secondo il modello reputato più adatto, dunque incidendo sulla corrispondente situazione soggettiva del richiedente (che per converso trova un limite di tutela proprio laddove l’ordinamento interviene a sanzionare un’inerzia dello stesso debitore). Maggiori incertezze attengono peraltro al carattere definitivo del provvedimento in questione, potendo sostenersi che, in ogni caso e tenuto conto della irreclamabilità del decreto ex art. 162, comma 2 l.f., non rimane preclusa per l’interessato la possibilità di proporre una nuova domanda di concordato.

In tema, tuttavia, risultano precedenti che hanno ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti in questione (come sostenuto dall’attuale ricorrente), purchè ad essi non abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore (secondo quanto avvenuto nella vicenda), mentre per altri arresti vige l’opposto principio della chiusura del sistema rispetto alla ricorribilità per cassazione: al punto che con ordinanza 3472/2016 questa Sezione ha rimesso la questione al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite. Osserva questo Collegio che la questione di massima di particolare importanza si riferiva, nella fattispecie esaminata in sede di rimessione, ad una nozione di definitività relativa ad un’impugnazione avverso una pronuncia vertente su vizi del procedimento concordatario, che non investivano direttamente la proposta concordataria e dunque ipotizzandosi l’interrogativo connesso circa le alternative in facoltà del proponente, abilitato a ripresentare la medesima proposta concordataria ovvero nella condizione di doverne presentare comunque una diversa.

Peraltro, pur non essendo questa la vicenda all’esame dell’odierno Collegio, la predetta ordinanza ha riconosciuto sussistere l’interesse ad una pronuncia delle Sezioni Unite che affronti più in generale il tema della impugnabilità in sede di legittimità dei provvedimenti denegativi dell’ammissione al concordato preventivo, non seguiti da dichiarazione di fallimento.

La conseguente devoluzione alle Sezioni Unite della questione, per come allora sollecitabile in astratto anche nella fattispecie odierna, può tuttavia non essere disposta ove, come nel caso, si riscontri un concorrente profilo di complessiva inammissibilità del ricorso, che si ritiene di dover invero pronunciare ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1, così conformando la gerarchia decisoria al criterio direttivo della selettività delle prestazioni giurisdizionali ed alla loro coerenza con il più celere esaurimento del processo, secondo il precetto orientativo dell’art. 111 Cost..

2. I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono infatti inammissibili, avendo il decreto impugnato deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame delle censure non offrendo elementi nè per una variazione di indirizzo, nè per una più articolata conferma dello stesso. Il Collegio condivide dunque il principio per cui il ricorso per cassazione che non offra elementi per modificare la giurisprudenza di legittimità, a cui la sentenza impugnata è conforme, deve essere rigettato in rito e non nel merito ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1, che, nell’evocare un presupposto processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a carico del ricorrente un onere argomentativo, il cui parametro di valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso (Cass. 23586/2015).

Va così fatta applicazione di un orientamento, solo conformato a razionalità a seguito della pronuncia di Cass. s.u. 1521/2013, ma già anticipato sin da Cass. 2706/2009 e poi 22927/2009 (e così 21860/2010, 3586/2011, 18864/2011, 11014/2013, 13083/2013, 21901/2013, 24970/2013, 11423/2014, 11497/2014) per cui gli artt. 160 – 163 l.f. riformati non hanno eliminato una indagine sui presupposti di ammissibilità del concordato, questa Corte avendo avuto occasione di rilevare che l’esclusione di molti dei requisiti di natura personale richiesti dalla precedente normativa, nonchè la maggiore autonomia lasciata ai creditori nell’approvazione del piano e il molo centrale che essi esercitano a tal fine hanno comportato la riduzione, ma non l’esclusione, della sfera d’intervento del tribunale, chiamato pur sempre al controllo di legalità nell’ambito di una più accentuata natura privatistica dell’istituto con poteri i quali, oltre che estendersi anche, sia pure in un ambito più ristretto e rigorosamente tipizzato, a valutazioni di merito, naturalmente ricomprendono l’accertamento degli elementi-base per il riconoscimento dei tratti essenziali minimi dell’istituto. Un controllo preliminare – immutato sin dalle novelle del D.L. n. 35 del 2005 – concerne, tra gli altri ed infatti, la verifica della completezza del progetto ristrutturativo del passivo: esso deve cioè essere indirizzato e pertanto riferirsi a tutti i creditori, non potendo singole omissioni giustificarsi invocando un duplice modulo organizzativo, con previsione del trattamento per una parte soltanto dei creditori, cui sia effettivamente destinata la proposta, mentre un’altra parte, di cui il tribunale non si dovrebbe occupare, ma intanto dovendo ammettere il debitore alla procedura, sarebbe attinta da una mera ipotesi di accordo, volto alla totale remissione del credito ed al quale il debitore chieda però di addivenire in occasione del concordato ma al di fuori dei meccanismi determinativi del consenso ivi previsti (senza contemplare ipotesi di rinunce preventive).

3. Si è pertanto ripetuto che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Il menzionato controllo di legittimità si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura e si attua verificandosene l’effettiva realizzabilità della causa concreta: quest’ultima, peraltro, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro. Nella vicenda, è pacifico che per alcuni crediti di natura tributaria (accessori dell’IVA) ed assistiti da privilegio, il ricorrente non ha prospettato alcun soddisfacimento, nemmeno parziale, nè l’inclusione in apposita classe, rivendicando ora l’estraneità del controllo di legittimità rispetto al contenuto della transazione fiscale proposta, in virtù della sua autonomia dal procedimento-madre, quello di concordato, in cui è inserita e dunque la devoluzione alla sola vicenda negoziale delle più opportune determinazioni sul credito omesso.

La tesi, per come esposta, non può essere condivisa, posto che l’autonomia subprocedimentale dell’istituto di cui all’art. 182ter l.f. è riconoscibile per alcuni tratti organizzativi del consenso sulla proposta e per talune rigidità di tutela pubblicistica del credito, che – quanto al capitale – è solo assoggettabile alla dilazione solutoria diretta (cioè al pagamento come unica modalità satisfattiva del creditore ed altresì estintiva della sua pretesa), sempre che il proponente, come nella specie, abbia innestato nel piano di cui all’art. 160 l.f. proprio tale pagamento dei tributi e per giovarsi degli effetti anche sostanziali correlati all’adesione della parte pubblica prevista nella descritta norma speciale. Ma altri, ordinari, requisiti di regolarità debbono assistere la proposta, con controllo officioso del tribunale, tanto più necessario, come avvenuto, ove il contraddittorio con i creditori non sia nemmeno previsto o in concreto instaurato, appartenendo la verifica sulla previsione positiva nell’atto del debitore di uno statuto concorsuale dei creditori (tutti) comunque emersi o affermati o riconosciuti ad un prius rispetto all’avvio delle più negoziali fasi successive, dal voto al giudizio di omologazione (con le correlate tipizzazioni contestative). Si tratta in altri termini di dare continuità all’indirizzo per cui ai doveri di riscontro della legittimità del concordato, la proposta deve affiancare una sua completezza rispetto ai canoni disegnati già nell’art. 160 l.f., che prevedono – come anticipato – una contemplazione di tutti i creditori e una giustificazione dell’eventuale loro trattamento differenziato, che comunque deve esprimere un apprezzabile indice di soddisfacimento (Cass. 11423/2014). Il credito per accessori dell’IVA è stato invece del tutto omesso nella proposta.

4. Nè su tale constatazione assume rilievo il recente arresto di CGUE 7 aprile 2016, nella causa C-546/14, dato che la fattispecie ivi riassunta riporta che la debitrice aveva “presentato al giudice del rinvio una domanda di concordato preventivo… trovandosi in stato di crisi, essa intende liquidare in tal modo il suo patrimonio, al fine di provvedere al pagamento integrale di taluni creditori privilegiati e al pagamento in percentuale dei creditori chirografari e di creditori privilegiati di grado inferiore, per i cui crediti sostiene che non vi sarebbe comunque capienza, neppure in caso di fallimento.

Tra questi ultimi vi è un debito di IVA che la debitrice propone di pagare parzialmente, senza vincolare tale proposta alla conclusione di una transazione fiscale.”. Va dunque escluso che soccorra il quesito posto alla Corte di giustizia dal Tribunale di Udine (ordinanza 30.10.2014) perchè non risulta attuale l’interrogativo, nel presente procedimento, se “un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore in caso di proprio fallimento”.

Del debito IVA per accessori (sanzioni ed interessi) non viene invece riportata alcuna previsione nella proposta, e cioè nè nel programma del debitore (che ne ha fatto invece l’obiettivo di una mera rinuncia dell’Agenzia delle Entrate ovvero del Concessionario), nè nelle attestazioni del professionista di cui all’art. 161 l.f. (non riportate), realizzandosi un’omissione che non può fuoriuscire dal controllo del tribunale, come correttamente deciso, posto che, prima ancora che un debito a connotazione privilegiata, tale condotta aveva vulnerato la completezza della proposta e la corretta rappresentazione di un credito. Già il primo rilievo del giudice di merito va dunque condiviso, in punto di limite di ammissibilità della proposta ai sensi dell’art. 160, comma 2 l.f., ove la società _____________  s.r.l. non ha prefigurato un trattamento a siffatti crediti, neanche ipotizzandone un alternativo statuto non prelatizio mediante integrazione di essi in una delle classi pur merceologicamente raccolte attorno ai creditori non finanziari.

E d’altronde, questa Corte ha statuito che anche la ipotetica contestazione giudiziale dei crediti (che in questa sede la ricorrente prefigura, senza però dar conto di come sia ragionevole la previsione di un debito d’imposta scaduto e non pagato senza i predetti accessori) non preclude il loro doveroso inserimento in una delle classi omogenee previste dalla proposta, ovvero in apposita classe ad essi riservata, assolvendo tale adempimento, ricadente sul debitore ed oggetto di controllo critico sulla regolarità della procedura quale assolto direttamente dal tribunale, ad una fondamentale esigenza di informazione dell’intero ceto creditorio: da un lato, infatti, tale omissione pregiudicherebbe gli interessi di coloro che al momento non dispongono ancora dell’accertamento definitivo dei propri diritti (ma che possono essere ammessi al voto, ex art. 176 l.f., con previsione di specifico trattamento per l’ipotesi che le pretese siano confermate o modificate in sede giurisdizionale) e, dall’altro, essa altererebbe le previsioni del piano di soddisfacimento degli altri creditori certi, non consentendo loro di esprimere valutazioni prognostiche corrette e di atteggiarsi in modo pienamente informato circa il proprio voto (Cass. 13284 e 13285/2012, in una fattispecie relativa a crediti erariali, relativi a proposta di transazione fiscale non oggetto di adesione nel concordato preventivo da parte del creditore).

5. Ne consegue la sussistenza della complessiva violazione accertata, sia quanto al profilo della previsione di trattamento deteriore non giustificato con la configurazione dello scenario alternativo e non peggiorativo per l’ipotesi liquidatoria, sia quanto alla mancata applicazione del criterio ordinante che vuole il rispetto della sequenza progressiva nel soddisfacimento delle cause di prelazione (alterato ove crediti privilegiati siano preceduti, subito prima, da crediti chirografari), sia infine per la non appostazione regolare dei crediti accessori all’IVA almeno in una delle classi residuali pur confezionate ovvero in un apposito raggruppamento più omogeneo, così da conferire al loro rispettivo titolare il diritto di voto (anche volendo in astratto ricorrere ad un meccanismo, più benevolo per il debitore, che rimetta all’approvazione in assemblea del concordato, altresì da parte del creditore tributario speciale, la determinazione sulla parte di credito non oggetto di proposta di transazione fiscale ex art. 182ter l.f.). Va invero sottolineato che, nell’ambito di una considerazione necessaria e tempestiva dell’intervento di controllo di legittimità del tribunale – come avvenuto nella sede dell’ammissione ex art. 162 e 163 l.f. – e dunque prima che il procedimento si evolva verso una maturità di contraddittorio formale con i creditori, nemmeno è stata prospettata nella fattispecie un’altra valida ragione eccettuativa dei crediti citati rispetto al piano, quale poteva essere – in thesi – una intesa preventiva proprio con la parte pubblica, sulla base di altri istituti di regolazione negoziale dello stesso credito. Anche CGUE 7.4.2016 ha invero e per parte sua chiarito una aggiornata compatibilità della regola che impone agli Stati membri l’organizzazione volta alla rigorosa esazione dei debiti IVA osservando però che, per il nostro ordinamento, proprio “la procedura di concordato preventivo appare… tale da consentire di accertare che, a causa dello stato di insolvenza dell’imprenditore, lo Stato membro interessato non possa recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore” e quindi “la procedura di concordato preventivo offre allo Stato membro interessato la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA qualora, in particolare, non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente”, eventualità nel caso negata.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1.

 

P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2016

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