ESAME AVVOCATO 2015 Traccia 2 Parere civile

Le questioni giuridiche inerenti al caso in esame riguardano la lesione dei diritti di riserva dei legittimari conseguente a donazioni compiute dal de cuius e le conseguenti modalità di reintegrazione della quota di legittima. Per illustrarle e individuare le iniziative più opportune nell’interesse di Mevio è necessario esaminare gli istituti della successione necessaria, della collazione e dell’azione di riduzione.

Nel nostro ordinamento l’eredità può essere devoluta per testamento e, in concorso o in subordine, per legge (art. 4571 c.c.). La disciplina della successione necessaria integra entrambe le forme di delazione, assicurando al coniuge, ai figli e agli ascendenti (in mancanza di figli) specifici diritti sul patrimonio del de cuius, in armonia con il favor che la Costituzione riconosce alla famiglia fondata sul matrimonio (art. 29). La fonte della delazione incide esclusivamente sulle modalità di realizzazione di tali diritti.

La cd. legittima ha una valenza non qualitativa, bensì quantitativa, ossia attribuisce il diritto a una quota di valore sulla c.d. massa, composta dal patrimonio relitto al momento della morte e dai beni donati in vita dal de cuius. I legittimari diventano eredi solo con l’accettazione dell’eredità (cfr. Cass., 12 gennaio 1999, n. 251): l’art. 536 c.c., infatti, li definisce come le persone a cui la legge riserva una quota di eredità e l’art. 551 c.c. dispone che il legittimario, che abbia ricevuto un legata in sostituzione di legittima, non diventa erede.

Il valore della legittima è stabilito dagli artt. 537-548 c.c. in rapporto a quali e quanti siano i legittimari del de cuius al momento dell’apertura della successione. Se il de cuius lascia il coniuge e più figli, la quota di riserva del primo è pari a un quarto, quella dei figli (indipendentemente dal loro numero) è pari alla metà, mentre la quota disponibile è pari un quarto dell’asse (art. 542 c.c.).

L’intangibilità della cd. legittima, caratteristica dei sistemi di civil law, è presidiata dal Codice Civile con:

1)    il divieto (implicito nella legge) di diseredare i legittimari (cfr. Cass., sez. II, 25 maggio 2012, n. 8352);

2)    la nullità di pesi e condizioni apposti alla quota del legittimario (art. 549 c.c.), quando costui sia istituito erede dal testatore nella sola quota di riserva;

3)    la limitazione della dispensa da collazione alla quota disponibile (art. 7372 c.c.);

4)    l’azione di riduzione per lesione (artt. 533 ss. c.c.).

Di tali previsioni di legge rileva, nel caso de quo, la disciplina della collazione e della riduzione.

La collazione è un istituto legato alla divisione ereditaria, in quanto presuppone uno stato di comunione degli eredi, che può instaurarsi, fra le altre ipotesi, se il de cuius è morto ab intestato e l’eredità si è devoluta per successione legittima al coniuge, ai figli e ai discendenti o se ha compiuto atti di liberalità in favore dei legittimari.

La sua ratio è ristabilire o conservare la parità dei coeredi, rendendo giuridicamente rilevante la valutazione sociale che le donazioni, di cui ha beneficiato un figlio o il coniuge per volere dell’ereditando, siano state perfezionate a titolo di anticipata successione, ossia in conto della sua quota di eredità. La collazione, infatti, ricostituisce il compendio ereditario nella consistenza che aveva quando il de cuius era in vita e ne consente la divisione in parti uguali fra i coeredi figli e coniuge. Inoltre, incrementando l’asse di un valore pari al valore dei beni conferiti (in natura o per imputazione), ha l’effetto indiretto di prevenire lesioni dei diritti di riserva.

L’obbligo collatizio può essere adempiuto in natura (art. 7461 c.c.), conferendo in comunione il donatum, che sarà, perciò, oggetto di divisione, o per imputazione (art. 747 c.c.), conferendo nella massa il suo valore monetario, «avuto riguardo [...] al tempo dell’aperta successione».

La dispensa da collazione è una liberalità collegata alla donazione o all’attribuzione testamentaria, che incrementa la quota ereditaria del suo beneficiario, riducendo il valore della quota disponibile e, perciò, aumentando le possibilità di riduzione delle donazioni e dei legati, che altrimenti, non lederebbero i diritti dei legittimari. La dispensa da collazione è, quindi, una delle cause di lesione della quota di legittima, che può precludere ai coeredi la possibilità di soddisfare i propri diritti successori in sede di divisione.

Il relativo negozio può essere contenuto nella donazione o nel testamento o in un atto distinto, purché abbia la forma richiesta per il negozio principiale, secondo quanto impone il principio di corrispondenza delle forme. La manifestazione della relativa volontà, invece, può essere espressa o tacita (ex plurimis Cass., 27 gennaio 1995, n. 989; Cass., 13 gennaio 1984, n. 278; Cass., 8 novembre 1983, n. 6591; Cass., 12 luglio 1975, n. 2774; Cass., 13 settembre 1975 n. 3045), non essendo imposta dalla legge una modalità particolare, qual è richiesta, al contrario, in altre ipotesi, come la volontà di dispensare dall’imputazione (art. 564 c.c.).

La dispensa è efficace nei limiti della disponibile (art. 7372 c.c.), in attuazione del principio di intangibilità della riserva, quindi il donatario può ritenere la donazione fino alla concorrenza della quota disponibile. Se la liberalità ne supera il valore, parte della dottrina ritiene che il donatario sia obbligato a conferire ai coeredi, indipendentemente dalla loro domanda, la porzione eccedente la disponibile o quanto residua dal computo di tale porzione nella sua quota di riserva, e che, ove il conferimento non elimini la lesione, i legittimari possano agire in riduzione. Un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza affermano, invece, che l’obbligo restitutorio del coerede donatario sia subordinato alla riduzione della liberalità.

Secondo la Corte di Cassazione, «l’azione di riduzione contro il coerede donatario, coniuge o discendente del de cuius, presuppone che questi sia stato dispensato dalla collazione, giacché in caso contrario il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione spettante gli sull’eredità senza necessità di ricorso alla specifica tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima» (Cass., sez. II, 6 marzo 1980, n. 1521). La dispensa, infatti, impedisce che, al momento dell’apertura della successione, sorga in capo al donatario l’obbligo collatizio, costituente, in sua assenza, effetto ex lege della morte del de cuius (ex plurimis: Cass., sez. II, 29 ottobre 2015, n. 22097; Cass., sez. II, 14 aprile 2011, n. 8507; Cass., sez. II, 18 luglio 2005, n. 15131) e che, perciò, il donatum debba essere conferito in un eventuale giudizio di divisione senza il preliminare accertamento della inefficacia (totale o parziale) della dispensa.

Il Supremo Collegio ha inoltre precisato che il rigetto della domanda di riduzione per prescrizione non esclude, in sede di divisione ereditaria, il conteggio del valore del donatum nella quota di riserva del coerede donatario, in quanto l’art. 553 c.c. si applicherebbe anche quando i chiamati alla successione ab intestato siano tutti legittimari. Il soggetto leso, quindi, potrebbe soddisfare i suoi diritti di riserva, senza agire in riduzione, con il proporzionale decremento delle quote degli altri successori ab intestato, ove il relictum e il donatum siano sufficienti, estinti i debiti, a realizzare la sua pretesa.

L’azione di riduzione può essere proposta nel caso di pretermissione del legittimario, che succeda ab intestato in assenza di relitto o che non sia beneficiario di alcuna disposizione testamentaria, quando il de cuius abbia compiuto atti di liberalità (cfr. Cass., sez. II, 7 ottobre 2005, n. 19527), e nel caso di donazioni o attribuzioni testamentarie in favore di altri legittimari o di estranei, che eccedano la quota disponibile.

Le attribuzioni riducibili sono valide e producono effetti sino all’eventuale formazione del giudicato sulla sentenza di accertamento costitutivo della lesione dei diritti di riserva. Questa comporta, secondo parte della dottrina, la loro risoluzione ex tunc e erga omnes; secondo altra dottrina, invece, tali atti diventano inefficaci nei solo confronti del legittimario e nei limiti necessari a reintegrare la sua quota, il cui acquisto è oggetto di delazione necessaria e non testamentaria.

L’accertamento della lesione dei diritti dei legittimari è logicamente successivo alla morte dell’ereditando, in quanto presuppone la determinazione del compendio ereditario, dei legittimari successibili e, quindi, della loro quota riserva, previa riunione fittizia del relictum, del donatum e dei debiti (art. 556 c.c.).

Legittimati passivi della domanda di riduzione sono i donatari, gli eredi o i legatari del defunto. Contro gli aventi causa dei donatari, invece, il legittimario può proporre solo l’azione di restituzione (art. 563 c.c.), subordinata alla triplice condizione che la liberalità abbia avuto per oggetto un diritto reale su bene mobile o immobile, che la sentenza contro il beneficiario dell’attribuzione lesiva sia passata in giudicato e che questi sia stato infruttuosamente escusso.

Ai fini dell’ammissibilità della domanda di riduzione, è necessario che il legittimario accetti l’eredità con beneficio di inventario (art. 5661 c.c.), così da avere la certezza della lesione dei suoi diritti successori, salva naturalmente l’ipotesi della sua totale pretermissione (conf. Cass., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16635), in cui non vi è alcuna delazione in suo favore che gli consenta di accettare l’eredità. La dottrina, invero, dubita della razionalità della norma, osservando che, se il suo scopo è tutelare i donatari e i legatari estranei, sarebbe stato sufficiente prevedere, quale condizione di ammissibilità della domanda, la redazione dell’inventario.

Se il chiamato ha «a qualsiasi titolo» il «possesso» dei beni ereditari, per tale intendendosi la loro materiale disponibilità (cfr. Cass., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7076; Cass., sez. II, 14 maggio 1994, n. 4707), il termine per la confezione dell’inventario è di tre mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità (art. 4851 c.c.) e la sua inosservanza comporta non già la mera decadenza dal beneficio, bensì l’acquisto ex lege dell’eredità come erede puro e semplice (art. 4852 c.c.), con conseguente inammissibilità di un’eventuale domanda di riduzione. In questa ipotesi si perfeziona, secondo una parte della giurisprudenza, una forma di accettazione “presunta” (Cass, sez. III, 29 marzo 2006, n. 7226) o, secondo altre pronunce, una fattispecie complessa di accettazione legale caratterizzata dal concorso di diversi elementi costitutivi (Cass, sez. II, agosto 2005, n. 16739).

Adempiuto l’onere dell’inventario, il delato che non abbia ancora fatto la dichiarazione di accettazione beneficiata deve deliberare entro i successivi quaranta giorni se accetta o rifiuta l’eredità (art. 4853 c.c.).

Seconda condizione di ammissibilità della domanda di riduzione è che il legittimario imputi alla sua porzione di legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salva espressa dispensa del de cuius (art. 5663 c.c.). Quest’attività si distingue dall’imputazione collatizia sotto diversi profili: è un onere, non un obbligo, e consiste in un’operazione meramente contabile di scomputo dalla quota di riserva del legittimario del valore delle liberalità ricevute dal de cuius.

La riduzione segue criteri diversi in rapporto alla natura dell’attribuzione: le disposizioni testamentarie si riducono proporzionalmente, senza distinguere fra eredi e legatari (art. 5581 c.c.), mentre le donazioni si riducono «cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori» (art. 559 c.c.). Il criterio cronologico ascendente è ritenuto inderogabile dal donante, in quanto rispondente al divieto di revoca (unilaterale) delle donazioni, ossia alla loro struttura contrattuale: se si applicasse il criterio proporzionale, infatti, si consentirebbe al disponente di revocare parzialmente la liberalità antecedente con una successiva. L’anteriorità deve essere provata dal legittimario che se ne assume leso (Cass., 29 ottobre 1975, n. 3661) in conformità alla disciplina dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.).

Esaminati gli istituti rilevanti nel caso de quo, l’applicazione dell’illustrata disciplina di legge alla successione del sig. Tizio comporta quanto segue.

Alla morte di Tizio si instaura la comunione ereditaria tra il coniuge e i figli, con conseguente comproprietà, per quote uguali del valore di Euro 30.000,00 ciascuna, dell’appartamento nella località montana ove la famiglia soleva trascorrere le vacanze estive.

Il relictum è di Euro 90.000,00, il donatum è pari a Euro 310.000,00. Non essendovi debiti, dalla riunione fittizia (relictum + donatum – debiti) si deduce che il valore del compendio ereditario è di Euro 400.000,00 e che, perciò, la quota di riserva di Caio, di Mevio e del coniuge di Tizio (art. 542 c.c.) è di Euro 100.000,00 e, quindi la quota disponibile è, sua volta, di Euro 100.000,00 (centomila,00). Inoltre, essendo il valore del relitto pari a Euro 90.000,00, i coeredi non donatari hanno subito una lesione della riserva per Euro 70.000,00 (settantamila,00) ciascuno. Affinché l’accertamento di tale lesione spieghi effetti, è necessario, però, che Mevio (da solo o unitamente alla moglie del padre) promuova l’azione di riduzione delle donazioni fatte da Tizio tanto, e in primis, nei confronti dell’estraneo Sempronio, il cui titolo è cronologicamente posteriore (10 gennaio 2015), per l’intero valore della liberalità, quanto nei confronti di Caio per un importo di Euro 10.000,00 (diecimila,00), o di Euro 80.000,00 (ottantamila,00) se agisce insieme alla coerede, nei confronti di Caio.

La dispensa da collazione, infatti, ha effetto solo per Euro 100.000,00, pari alla disponibile, ma fin quando tale quota non sia calcolata con un accertamento opponibile ai beneficiari delle donazioni, Caio potrebbe opporre agli altri legittimari la dispensa da collazione per l’intero suo valore, motivo per cui la divisione ereditaria può essere domandata solo in subordine all’azione di riduzione. In sede divisoria la pregiudiziale operazione collatizia, oramai divenuta obbligatoria per Caio, lo obbligherà a conferire la donazione di Tizio per la parte non ridotta ancora eccedente la disponibile, pari a Euro 140.000,00 (centotrentamila,00) se la riduzione è stata domandata solo da Mevio o a Euro 60.000,00 (sessantamila,00) se, invece, anche il coniuge di Tizio l’ha richiesta.

In definitiva, si consiglia a Mevio di accettare repentinamente l’eredità con beneficio d’inventario, avendo conseguito il possesso dell’unico bene ereditario, e di esercitare l’azione di riduzione delle donazioni di Tizio a Caio e a Sempronio con domanda al tribunale in composizione collegiale del luogo in cui il padre è deceduto (art. 50 bis1 n. 6 c.p.c.), quindi nelle forme del rito ordinario e non del rito sommario di cognizione, che è riservato alle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica (art. 702 bis c.p.c.). Lo si invita, inoltre, a trascrivere la relativa domanda (art. 2652n. 8 c.c.), e, contestualmente, a instaurare il procedimento di mediazione obbligatoria di cui al d. lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (art. 5 d. lgs. cit.). Ove questi non sia concluso alla data dell’udienza di comparizione e trattazione, il giudice fisserà la successiva udienza dopo la scadenza del suo termine quadrimestrale di durata (art. 6 d. lgs. cit.).

Ai fini dell’ammissibilità della domanda è prioritario che Mevio, chiamato nel possesso dell’immobile, rediga immediatamente l’inventario dell’eredità, essendo prossimo a scadere il termine decadenziale per l’accettazione beneficiata (art. 4851 c.c.). La successione, infatti, si è aperta il 12 gennaio 2015 e Mevio si reca al legale il 10 marzo 2015, quando il trimestre è quasi decorso. Iniziato l’inventario, ove si constati l’impossibilità di completarlo tempestivamente, si consiglia a Mevio di chiedere una proroga (art. 4851 c.c.). La relativa istanza dovrà essere proposta con ricorso (art. 7491 e 4 c.p.c.) al tribunale del luogo in cui Tizio è deceduto. Inoltre, se formulata contestualmente all’azione di riduzione, la competenza a conoscere della relativa istanza sarà del tribunale in composizione collegiale (artt. 50 bis1 n. 6 e 7491 c.p.c.).